Ei ragazzo, fa lei
con una certa sfacciataggine a Carlo, che da molto tempo non è più neppure tanto
un ragazzo, mentre sta entrando nel locale per una birra e per prendere un
pacchetto di sigarette. Forse è soltanto il suo modo di salutare, pensa lui, e
le sorride vagamente appoggiandosi al bancone del bar, proprio accanto alla
donna, davanti ad un cameriere annoiato e distratto. Scusa, dice lei
distogliendo lo sguardo e ridendo tra sé mentre beve qualcosa; ti avevo solo
scambiato per un’altra persona. Non importa, fa Carlo, in fondo qua dentro
siamo tutti dei conoscenti, è solo là fuori che siamo nemici e ci ritroviamo
continuamente a scannarci l’un l’altro per qualsiasi sciocchezza.
Giusto, dice lei,
pensando alle difficoltà del traffico e alla complicazione di trovare un
parcheggio decente lungo quella strada. Abiti in questo quartiere?, aggiunge
senza esprimere un vero interesse. No, fa lui, sono soltanto di passaggio. Sei
fortunato, fa lei, io abito proprio qua sopra, dentro ad un paio di anonime stanzette
in affitto, e odio profondamente quasi tutto quello che capita qua attorno,
anche se a dire il vero non riesco mai ad allontanarmi da questi paraggi. Forse
è una questione di abitudini, ma a me pare qualche volta di vivere quasi chiusa
in una prigione, come se non riuscissi a vivere da altre parti, anche se evidentemente
potrei andarmene da qui in qualsiasi momento.
Carlo sorride, chiede
la birra e le sigarette, poi si volge verso la donna: il segreto sta nel
rimanere assolutamente indifferenti a tutto ciò che ti capita, fa; come se non
ti riguardasse per niente. Stai qui, fai le tue cose, esci da casa e rientri
come chiunque, ma quanto a calcolare tutto quel che succede, semplicemente non
lo fai, ne rimani al di fuori, come se tu fossi su un altro pianeta. Ecco come
si fa.
Starai scherzando,
spero, dice lei; si, cosa c’entra, su alcune cose puoi con tutta tranquillità
passarci sopra, questo è normale, ma ce ne sono delle altre nelle quali devi
per forza sporcarti le mani, non ne puoi fare a meno. Capitano continuamente
delle faccende che se te ne infischi poi non riesci più a starne alla larga, e
quello è proprio il momento in cui vai a caderci dentro, senza che neppure tu
sappia come sia successo. Non puoi ignorarle, devi conoscerle appieno, solo
così riesci a tenerti al di fuori. Ecco come la penso, fa lei.
Va bene, fa Carlo,
però non capisco: io entro qua dentro, tu mi saluti, inizi a parlarmi e non sai
neppure chi sono; potrei tirarti una fregatura, penso, portarti fuori di qui
con una scusa e poi violentarti, o farti fuori tutti i soldi che hai nella
borsetta, per dire. Non si può dare confidenza ad uno sconosciuto qualsiasi.
Hai ragione, fa lei. Però dalla tua faccia si vede subito che sei uno a posto, uno
che non farebbe mai male a nessuno. Così mi offendi, dice Carlo: per
sopravvivere oggigiorno in qualche maniera dobbiamo metter su espressioni
cattive, guardare tutto con aggressività, altrimenti è finita, chiunque può
metterti i piedi sopra la testa.
Va bene, dice la
donna, così beve un altro goccio e fa per allontanarsi, poi ci ripensa: ciao,
dice a Carlo, e infine guadagna l’uscita del bar, sparendo alla vista. Lui
finisce a sua volta l’ultimo sorso di birra, va alla cassa, e il cameriere gli
dice che deve pagare anche la consumazione della signora. Se non ha pagato se
ne sarà soltanto dimenticata, dice Carlo: tornerà, ha detto che abita proprio
qua sopra. Il cameriere lo guarda con una certa attenzione, poi fa: io non l’ho
mai vista qua dentro, e tipi del genere, che io sappia, si incontrano sulla
propria strada soltanto una volta.
Bruno Magnolfi
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