lunedì 7 gennaio 2013

Processi coincidenti.


           

            Sto male, senza alcun dubbio. Se mi corico, provo dei sottili dolori non ben localizzati, e soprattutto ho l’impressione che il mio corpo sia, chissà da quanto tempo, come caduto in una fase di estrema fragilità, quasi che il cuore per esempio si potesse fermare da un attimo all’altro, o l’apparato digerente fosse preda di un inizio di blocco improvviso, senza possibilità di recupero. Mi giro su un fianco, rifletto: nulla potrà mai rimanere com’era.
            Poi sento delle voci nella stanza adiacente o nel corridoio del mio appartamento, mi alzo, indosso una giacca da casa, esco svogliatamente dalla mia camera. Degli amici sono venuti a farci una visita, a me e a mia moglie. Ci sediamo, scambiamo tutti i convenevoli, si ride di qualcosa per rompere quel sottile velo di imbarazzo che sempre in questi casi si forma.
            Non sto bene, dico subito, non so neppure perché. Non ho alcun dolore ben localizzato, dico, però sento che qualcosa non va, che non è più nella stessa maniera di com’è sempre stato. Proseguo a spiegare i sintomi e le percezioni che mi fanno sentire in questo modo, e alla fine tutti iniziano a guardarmi con pena, con espressioni serie e compunte, compresa mia moglie.
            Per convincere tutti della mia situazione vorrei quasi fingere uno svenimento, accasciarmi a terra andando a sbattere con una spalla sul pavimento, gli occhi chiusi, gli arti completamente rilasciati, ma mi trattengo, non è il caso di esagerare, penso con un briciolo di razionalità. In ogni caso siedo abbracciandomi la pancia e lo stomaco, come se un forte dolore o qualcosa del genere venisse da lì. Mi piego in avanti, lascio che mia moglie mi chieda se sia il caso di prepararmi del tè caldo, oppure che addirittura chiami un dottore, e tutti sembrano preoccupati, si dice addirittura che è meglio se sto coricato, piuttosto che rimanere seduto dove mi trovo.
            Lascio che mi accompagnino in camera, sistemino alla meglio sul letto il mio povero corpo, e che infine mi lascino solo, nella lieve oscurità delle tende tirate. Mi piace essere accudito in questa maniera, penso, anche se adesso, una volta rimasto in solitudine, mi pare addirittura di stare un po’ meglio. Mi abbandono ai pensieri che scorrono lentamente nella mia testa, forse potrei dormire e riposarmi in questo ovattato silenzio, rifletto, ma improvvisamente un nuovo forte dolore si fa sentire con nettezza durante la mia normale respirazione.
            Un debole rantolo sembra fuoriuscire dalla mia gola ogni volta che inspiro un po’ d’aria. Prendo tempo, i polmoni paiono soffrire terribilmente di questa situazione, è come se si fosse aperto uno squarcio in mezzo agli alveoli, oppure nei bronchi, non so, un dolore che non riesco minimamente a controllare. Mi sento la fronte imperlata di un sudore freddo e innaturale, sento nella stanza vicina le voci di tutti mentre si intrattengono ancora a parlare: vorrei chiamarli, urlare che sto male, male davvero, che ho bisogno di aiuto, forse di un medico, ma non riesco ad aprire neppure la bocca, e la mia respirazione è ormai ridotta ai minimi termini.
            Infine mia moglie gira la maniglia della porta ed entra dentro la camera, probabilmente solo per controllare come io stia in questo momento, mentre gli amici, adesso silenziosi, rimangono con garbo alle sue spalle. Il mio viso è umido e appiccicoso, evidentemente ho sbavato del sangue, mi sento sull’orlo di un non ritorno, ma alla vista dello spiraglio di luce sollevo la testa leggermente dal letto, strabuzzo gli occhi, guardo mia moglie, dico: sto morendo. Poi perdo i sensi.

            Bruno Magnolfi

Nessun commento:

Posta un commento