Sto male, senza alcun
dubbio. Se mi corico, provo dei sottili dolori non ben localizzati, e
soprattutto ho l’impressione che il mio corpo sia, chissà da quanto tempo, come
caduto in una fase di estrema fragilità, quasi che il cuore per esempio si
potesse fermare da un attimo all’altro, o l’apparato digerente fosse preda di
un inizio di blocco improvviso, senza possibilità di recupero. Mi giro su un
fianco, rifletto: nulla potrà mai rimanere com’era.
Poi sento delle voci
nella stanza adiacente o nel corridoio del mio appartamento, mi alzo, indosso
una giacca da casa, esco svogliatamente dalla mia camera. Degli amici sono
venuti a farci una visita, a me e a mia moglie. Ci sediamo, scambiamo tutti i
convenevoli, si ride di qualcosa per rompere quel sottile velo di imbarazzo che
sempre in questi casi si forma.
Non sto bene, dico
subito, non so neppure perché. Non ho alcun dolore ben localizzato, dico, però
sento che qualcosa non va, che non è più nella stessa maniera di com’è sempre
stato. Proseguo a spiegare i sintomi e le percezioni che mi fanno sentire in
questo modo, e alla fine tutti iniziano a guardarmi con pena, con espressioni
serie e compunte, compresa mia moglie.
Per convincere tutti
della mia situazione vorrei quasi fingere uno svenimento, accasciarmi a terra
andando a sbattere con una spalla sul pavimento, gli occhi chiusi, gli arti
completamente rilasciati, ma mi trattengo, non è il caso di esagerare, penso
con un briciolo di razionalità. In ogni caso siedo abbracciandomi la pancia e
lo stomaco, come se un forte dolore o qualcosa del genere venisse da lì. Mi
piego in avanti, lascio che mia moglie mi chieda se sia il caso di prepararmi del
tè caldo, oppure che addirittura chiami un dottore, e tutti sembrano preoccupati,
si dice addirittura che è meglio se sto coricato, piuttosto che rimanere seduto
dove mi trovo.
Lascio che mi
accompagnino in camera, sistemino alla meglio sul letto il mio povero corpo, e
che infine mi lascino solo, nella lieve oscurità delle tende tirate. Mi piace
essere accudito in questa maniera, penso, anche se adesso, una volta rimasto in
solitudine, mi pare addirittura di stare un po’ meglio. Mi abbandono ai
pensieri che scorrono lentamente nella mia testa, forse potrei dormire e
riposarmi in questo ovattato silenzio, rifletto, ma improvvisamente un nuovo forte
dolore si fa sentire con nettezza durante la mia normale respirazione.
Un debole rantolo
sembra fuoriuscire dalla mia gola ogni volta che inspiro un po’ d’aria. Prendo
tempo, i polmoni paiono soffrire terribilmente di questa situazione, è come se
si fosse aperto uno squarcio in mezzo agli alveoli, oppure nei bronchi, non so,
un dolore che non riesco minimamente a controllare. Mi sento la fronte
imperlata di un sudore freddo e innaturale, sento nella stanza vicina le voci
di tutti mentre si intrattengono ancora a parlare: vorrei chiamarli, urlare che
sto male, male davvero, che ho bisogno di aiuto, forse di un medico, ma non
riesco ad aprire neppure la bocca, e la mia respirazione è ormai ridotta ai
minimi termini.
Infine mia moglie
gira la maniglia della porta ed entra dentro la camera, probabilmente solo per controllare
come io stia in questo momento, mentre gli amici, adesso silenziosi, rimangono con
garbo alle sue spalle. Il mio viso è umido e appiccicoso, evidentemente ho
sbavato del sangue, mi sento sull’orlo di un non ritorno, ma alla vista dello
spiraglio di luce sollevo la testa leggermente dal letto, strabuzzo gli occhi, guardo
mia moglie, dico: sto morendo. Poi perdo i sensi.
Bruno Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento