Spesso riesco a
provare soltanto questa angoscia sottile, pensa Roberto mentre sta seduto con
la sua poltroncina di vimini nel giardinetto di quella abitazione condominiale
dove vive al piano terra con la sua famiglia. Davanti alla casa c’è un cancello
di ferro ben chiuso che ne delimita l’ingresso, e a destra e a sinistra l’alto
muro di cinta. Fuori, la strada e una fila di alberi. A lui dispiace
affacciarsi tra quelle sbarre, osservare il marciapiede di fronte che curva
lentamente, ma è l’unica maniera che certe volte ritiene di avere per rendersi
davvero conto della giornata che prosegue il suo corso, e delle persone che si
trovano a transitare da lì.
Oggi non mi alzerò neppure
da dove sono seduto, pensa ancora Roberto, tenendosi ad una distanza di almeno
dieci metri da quel cancello, sul piccolo piazzale di pietra accanto alla porta
di accesso della sua casa. Non mi interessa quello che succede là fuori, ho i
miei pensieri da vecchio, i miei dolori nell’anima, per me basta ed avanza.
Ma improvvisamente,
dalla strada, un uomo sbucato dal nulla si avvicina alle sbarre di ferro, si
accosta con fare guardingo, resta fermo ad osservare i particolari che riesce a
sbirciare di quel giardino, avvista subito Roberto, ma è come se non lo notasse
neppure. Roberto sta fermo, pensa: andrà via adesso, non può continuare a lungo
ad importunarmi così; ma quello resta piantato al suo posto, la faccia in mezzo
alle sbarre, l’espressione seria, inesplicabile, un comportamento quasi del
tutto incomprensibile.
E’ un uomo, pensa
Roberto, uno qualsiasi, con il suo carico di curiosità, il bisogno innato di
scoprire sempre qualcosa che non conosce. Difatti finalmente quello si
allontana, Roberto allora si alza, va lentamente verso il cancello, appoggia le
mani sopra al ferro freddo. La fila degli alberi ed il marciapiede sono ancora
lì, dove sempre, stabilisce Roberto con il suo primo sguardo, e la strada
adesso sembra deserta, ma non c’è niente di interessante.
E invece l’uomo di
prima all’improvviso esce fuori dall’angolo coperto dal muro, con la medesima
espressione sul viso, e si piazza davanti a lui come nell’attesa di una sua prima
mossa. Roberto si limita a guardarlo negli occhi, la distanza tra loro è di un
metro o forse due, però qualsiasi cosa abbia voglia di dire gli pare inadatta
al momento, così rimane ancora in silenzio.
Trascorrono alcuni momenti
senza che niente succeda; qualcosa deve pur capitare, pensa Roberto, e alla
fine, incapace di attendere ancora, si volta su un lato, come a mostrare la sua
capacità di godere dell’interno di quel giardino, piuttosto che spiarne i
contorni da fuori, come se tutta la differenza tra loro stesse soltanto in
quella evidente possibilità. L’altro forse prosegue a guardarlo, ma quando
Roberto torna a voltarsi verso di lui si accorge che la sua espressione è
mutata, ed è come se la distanza tra loro adesso si fosse fatta maggiore.
Sono solo, dice
Roberto con la sua voce bassa e gracchiante. Non ora, risponde l’altro quasi
senza intenzione. Passo in questo giardino molte delle mie giornate, anche se
questo scorcio di spazio in genere mi fa provare un’angoscia sottile, prosegue
Roberto. Lo capisco, fa l’altro, non c’è niente di interessante qua in mezzo.
Non è vero, riprende Roberto con severità; se ci si sofferma a guardare con una
certa attenzione, ci si accorge di molte cose, di tanti piccoli elementi che in
genere sfuggono ai più. L’altro allora si volta, guarda con interesse qualcosa
che Roberto dalla sua posizione non può vedere, poi se ne va. Solo uno
scocciatore, pensa Roberto mentre torna a sedersi.
Bruno Magnolfi
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