Amerigo
cammina, per la mano tiene sua nipote di appena cinque anni, che ogni tanto
gli pone qualche piccola domanda, come d’altra parte fanno tutti i bambini alla
sua età. Lui con pazienza le spiega qualcosa, le indica qualcos’altro da
osservare, le fa notare come sia viva la città, e come si muova, anche se poi
ogni tanto lui stesso si ferma, come per rendersi meglio conto di ciò che vuole
dirle davvero, oppure riflettendo su cosa ci sia di particolarmente caratteristico
intorno a loro, tale da incuriosirla, e per invitarla ad osservare un elemento
o l’altro con maggiore attenzione.
All’improvviso
però compie come un salto Amerigo, si dimentica quasi della nipote, anche se
continua a tenerla per mano guardando la strada davanti a sé; ma è come se fosse
la prima volta che vede qualcosa del genere, qualcosa da cui adesso si sente
perfino circondato. Ad un tratto, infatti, gli è parso quasi di entrare in un
banco di nebbia, o dentro una nuvola, ecco, quasi che il cielo quel giorno
avesse deciso di abbassarsi su lui, fino quasi a fargli staccare i piedi da
terra ed attrarlo a sé in una strana dimensione impalpabile. Sono inspiegabili
certe sensazioni, lo sa perfettamente, così non prova neanche a dire a sua
nipote che cosa gli stia capitando.
C’è
una panchina lì accanto, così invita la bambina a sedersi con lui, in silenzio,
momentaneamente come sospesi, quasi senza più alcuna cosa da dirsi. Cosa c’è di
più bello che sentire questo freddo invernale sopra la faccia, pensa Amerigo,
sapere che saranno soltanto le decisioni giuste a cambiare poco per volta
questa realtà, che tutto sarà modificato prima o dopo, e che ciò che vale
adesso forse tra poco non sarà più così. In silenzio, sua nipote osserva le
macchine che transitano lungo il viale, ne indica una con il suo piccolo dito, come
a fargli vedere che anche lei a suo modo avverte ciò che succede, ne ha
percezione.
Amerigo
vorrebbe quasi spiegare alla bambina quali emozioni si prova quando si ha
consapevolezza di tante cose che esistono, ma è un argomento impossibile, non
trova alcuna parola da dirle a riguardo, così si limita a prendere ancora la
sua piccola mano e a tenerla con sé, come qualcosa di estremamente prezioso,
quasi bastasse quel semplice contatto per trasferirle un po’ di quei suoi
pensieri, quelle piccole preoccupazioni che lui ha accumulato negli anni.
In
fondo, c’è poco significato in questo mio volerle spiegare qualcosa, pensa ancora;
al contrario, dovrei sforzarmi di vedere tutto proprio con i suoi occhi,
sentire la realtà con la sua spontanea voglia di conoscere, di sapere come si
muove ogni cosa che sta intorno a noi; ma rimane difficile, così complicato appare
dimenticarsi anche per un attimo solo il proprio passato, le proprie
esperienze, tutto ciò che è ognuno di noi, e ciò che è stato fino a questo
momento.
Poi
ad Amerigo torna a mente qualcosa di quando aveva più o meno l’età di sua
nipote. Sua madre gli teneva le mani sugli occhi, certe volte, e gli chiedeva
di immaginare tutto ciò che voleva, come se in quel momento non ci fosse alcuna
limitazione. Così inizia a pensare, Amerigo, come riuscire a spiegare alla nipote
che la cosa forse più importante di tutte è quella di non smettere mai di avere
fantasia, e di guardare le cose certamente per come sono davvero, ma in certi
casi di trasformare tutto quanto semplicemente con la forza dei suoi pensieri, e
immaginare sia ciò che potrebbe essere se stessa, sia il resto che ha intorno a
sé, elaborando una specie di caleidoscopio, una metamorfosi quasi infinita
della realtà.
Poi torna ad alzarsi e a riprendere
la bambina per mano. Ma che importa, pensa ancora, prima di rimettersi a
camminare: lei riuscirà a comprendere tutto senza neppure bisogno che qualcuno
ne spieghi anche solo una parte di quanto è possibile; e a me basterà tenerla
per mano per trasmetterle anche più di un frammento di quanto vorrei; ma questo
sarà già sufficiente.
Bruno
Magnolfi
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