Me ne andavo così,
senza una meta precisa, oscillando in mezzo alla gente da un marciapiede
all’altro, osservando ogni tanto qualche vetrina di negozio, e osservando le
strade trafficate intorno a me, piene di confusione e di grande movimento.
Camminavo però con attenzione, stando bene attento a non sbattere contro
qualcuno che se ne andava di fretta, o qualcun altro con la testa tra le
nuvole. Soffermavo i miei passi giusto per un attimo accanto alla facciata di
uno dei palazzi storici della mia città, un luogo a mio parere molto bello, e ne
osservavo i lineamenti, le decorazioni, le alte finestre, e nel momento in cui
mi rimettevo a camminare, notavo un uomo che a sua volta con la stessa
attenzione stava osservando me.
Procedevo senza
preoccuparmi, ma una volta oltrepassata la piazza vicina e presa una direzione
diversa da quella tenuta fino allora, notavo ancora una volta la stessa persona
che con indifferenza rimaneva alle mie spalle ad una distanza di dieci o venti
metri. Entravo in un caffè, ordinavo qualcosa al cameriere, e continuavo a
tenere d’occhio la porta di entrata del locale, mentre rimanevo in piedi accanto
al bancone, con un leggero senso di disagio.
Tornavo poco dopo a
riprendere la mia distensiva passeggiata, e dell’uomo di poco prima non ne
trovavo più nessuna traccia. Così mi perdevo di nuovo, come prima, nella
confusione e nel traffico dell’ora di punta, e in questo modo mi recavo con
decisione verso la stazione ferroviaria, dove volevo annotarmi gli orari
migliori per un treno che di lì a qualche giorno avrei dovuto prendere. L’uomo che
avevo visto in precedenza, con mia costernazione, era adesso fermo davanti a
me; lo stesso cappello anonimo, il cappotto scuro, la faccia di un cittadino come
gli altri. Lo scansavo in fretta, e con la stessa velocità cercavo di far
perdere in qualche modo le mie tracce.
La stazione era piena
di persone, la confusione totale, chiunque si sarebbe smarrito in una bolgia di
quel genere. Mi fermavo, guardavo bene ogni espressione intorno a me: del mio
uomo non c’era più neanche l’odore, ed un sorriso mi appariva quasi naturale
sulla faccia. In breve avevo preso nota di ciò che mi occorreva, ed ero velocemente
tornato ad uscire da quel grande edificio. Fuori si allungava ormai l’ombra
della sera, e i primi lampioni erano già accesi. Tornavo ad indossare i guanti
e mi avviavo verso la mia abitazione, non molto distante, senza preoccuparmi di
nient’altro, ma ad un tratto mi pareva di riconoscere, in una persona che
passava, il medesimo uomo di poco prima, anche se mi accorgevo quasi subito che
ne era soltanto una vaga somiglianza.
Attraversavo la larga
piazza, allungavo il passo sopra al marciapiede ingombro per quanto potevo, e
mi ritrovavo però a sentirmi ad un tratto quasi orfano di quella presenza pur inquietante
che mi aveva seguito fino a poco prima. Così tornavo a fermarmi, a guardare fin
dove riuscivo attorno a me, a cercarlo quasi, ma quell’individuo sembrava adesso
fortunatamente aver scelto altre occupazioni. Rientravo, forse un po’ deluso,
inserivo la chiave dentro al portone per aprirlo, e mi fermavo ancora una volta
per guardarmi attorno, proprio come prima. Non c’era più, inutile aspettarlo,
forse avevo sbagliato qualcosa, pensavo tra me, forse mi ero mosso con
eccessiva fretta. Un’ombra di tristezza scendeva su di me, sentivo forte il
desiderio di vederlo ancora, almeno un’altra volta; poi però richiudevo il
portone alle mie spalle: ogni giorno perdiamo qualcosa, pensavo adesso quasi
con indulgenza; non possiamo assumerne tutta la colpa soltanto perché ne siamo
consapevoli.
Bruno Magnolfi
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