martedì 29 gennaio 2013

Viaggio improbabile (cortometraggio n. 1).


            Non mi sento bene, aveva detto Luisa mentre camminava al braccio del marito, impegnata in una delle loro passeggiate domenicali lungo il giardino comunale poco lontano da casa. Forse è sufficiente che mi sieda su una panchina, aveva aggiunto, indicandone una là accanto, in uno spiazzo a ghiaia con la fontanella centrale. Mi basta qualche momento, lo aveva rassicurato mentre prendevano posto, forse mi è sufficiente chiudere gli occhi e lasciarmi scaldare da questo bel sole pomeridiano mentre tu sfogli il giornale, come fai sempre.
            Così aveva appoggiato la testa sullo schienale, e chiusi gli occhi le erano velocemente passate, in mezzo ai pensieri, diverse immagini strane, quasi un proiettarsi della sua mente verso qualcosa che non conosceva o che aveva dimenticato. C’erano altre persone, facce note e sconosciute, e poi la vecchia casa dove aveva abitato tanti anni prima con i suoi genitori, fino all’età dei venti anni, ma anche quella appariva senza una logica, come se le stanze fossero tantissime, e ognuna immettesse in un'altra, quasi senza limiti.
            Nel suo sogno Luisa chiedeva qualcosa, una minima indicazione, forse rivolgendosi ad una zia o a qualche lontano parente, forse allo stesso marito, ma tutti si limitavano a sorriderle e basta, come a volerla semplicemente rassicurare, anche se in modo contraddittorio. Lei al contrario si sentiva nervosa, agitata, sapeva di trovarsi in un luogo di grande nostalgia, eppure contemporaneamente le pareva di non conoscere affatto quel posto, come se tutto dei suoi ricordi fosse stato cambiato, quasi si fosse apportato delle modifiche adatte a renderlo completamente irriconoscibile, pur lasciando a lei la sensazione di trovarsi ancora nell’appartamento dove aveva trascorso la sua adolescenza.
            Qualcuno ballava divertito, lasciandosi notare oltre qualche porta socchiusa; altri ridevano pur cercando di limitare le proprie espressioni, ed altri ancora, infine, pareva incoraggiassero Luisa a girare, a visitare quella casa immensa ma vuota, e quasi interminabile. Lei vagava senza sapere verso dove né immaginando che cosa cercasse, forse desiderando trovare i suoi genitori, ma era come se loro fossero assenti, quasi si trovassero da un’altra parte, lontani da lì, trattenuti da chissà quali impegni. Suoni e voci ovattate giungevano alle sue orecchie, e Luisa più andava avanti e più assaporava un senso di sfida, come se niente di ciò che erano i suoi ricordi di quel tempo, avessero ritrovato là dentro il pur minimo fondamento.
            Ad un tratto gli pareva indispensabile fuggire da quel luogo, non era più possibile trattenersi ancora in quella specie di casa: cercava la porta di uscita, Luisa, ma un labirinto di stanze e corridoi le si parava davanti, senza alcun segno indicativo. Sapeva che da qualche parte forse l’attendevano i suoi genitori, ma era impossibile sapere dove, in quale direzione. L’angoscia era palpabile, il bisogno di urlare quasi incontrollato, e solo a quel punto Luisa si era svegliata da quel breve sonno. Voglio rientrare, aveva detto in breve a suo marito. Non devi preoccuparti, aveva aggiunto, sono soltanto confusa. I miei ricordi a volte prendono strade che non conosco, e i miei pensieri non trovano pace, ma non è grave, sarà sufficiente per me ritrovare la mia intimità, le mie piccole cose: tutto tornerà a posto, ne sono sicura,  e in poco tempo le cose riprenderanno ad andar  bene, vedrai, e sarà proprio come se niente avesse mai davvero minato la nostra vita in comune.

            Bruno Magnolfi

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