Quando ho cercato di uscire dall'ufficio postale mi sono subito reso conto
che qualcosa non andava. Difatti avevo appena starnutito, cosa per me piuttosto
usuale in questo periodo, ma una lunga striscia di muco mi si era impataccata
sopra la giacca. Perciò mi sono subito rivolto ad un impiegato chiedendogli dove
fosse il bagno, ed immediatamente mi sono chiuso dentro la piccola stanza che
quello mi ha indicato. Mi era parso comunque, fin da quando ero arrivato, anche
se non avrei saputo dire per quale motivo, che qualcos'altro non andasse per il
verso giusto, come se fosse accaduto qualcosa dentro a quegli ambienti, ed adesso
tutti gli impiegati stessero come sospesi, sovrappensiero, imbambolati per
problemi più importanti delle cose sostanzialmente abituali dentro ad uffici di
quel genere.
Ho cercato di ascoltare i discorsi che sentivo fare oltre la porta chiusa,
ma non sono riuscito a capire quasi niente, se non i lamenti di qualcuno tra i
dipendenti al lavoro, nei confronti di quel pubblico sempre troppo critico,
pretenzioso, capace solo di alzare la voce di fronte al più piccolo problema.
Mi sono ripulito alla meglio, ma poi, quando sono tornato ad uscire, mi sono
reso conto che tutti quanti in quell’ambiente mi stavano osservando.
Frettolosamente sono tornato indietro fingendo di essermi dimenticato di
qualcosa e chiudendomi di nuovo in quel piccolo bagno, e provando contemporaneamente
un sentimento astratto di vergogna, in realtà anche per me quasi impossibile da
decifrare.
Sono rimasto ancora a lungo là dentro, seduto su di uno scatolone,
chiedendomi cosa avrei potuto trovare di fronte a me quando avessi tentato
nuovamente di uscire. Nel dubbio profondo ho tardato quanto più mi era
possibile, accorgendomi ad un certo punto che forse avrei dovuto attendere
semplicemente che gli impiegati si fossero dimenticati del tutto di me. A
questo proposito ho guardato il mio orologio da polso: non mancava molto alla
fine dell’orario mattiniero di apertura al pubblico, così ho pensato che se
fossi uscito dal bagno subito oltre quel limite, probabilmente non avrei
trovato i dipendenti delle poste ancora seduti agli sportelli, ma indaffarati sul
retro degli uffici, cosa per me estremamente favorevole.
Purtroppo dopo poco è intervenuto qualcuno a bussare energicamente alla mia
porta, mi ha chiesto anche qualcosa con tono deciso che però non ho
propriamente compreso, e così mi sono limitato a rispondere con voce pacata che
sarei uscito dal bagno fra qualche minuto. Invece non ho trovato più il
coraggio, e abbandonandomi ad un fatalismo per me praticamente inusuale, ho fatto
scattare la serratura, lasciando in questo modo a chiunque la possibilità di
aprire la porta e di farmi trovare seduto sullo sgabello improvvisato.
Così è stato difatti, ma forse avvisato dai rumori dei tacchi delle scarpe
che ho sentito avvicinarsi subito prima, mi sono posizionato chino, con la
faccia affondata dentro le palme delle mani, come se tutto in me fosse perduto,
perfino l’orgoglio. Si sente male, ha detto o chiesto qualcuno sulla soglia, ed
io senza guardare ho fatto cenno di no con la testa; poi, chiunque fosse stato
a pormi la domanda, è tornato a riaccostare la porta e ad andarsene. A quel
punto mi sono prontamente alzato, ho preso tutto il coraggio necessario e sono finalmente
uscito. Praticamente non c’era più nessuno, solo un paio di impiegati che in
quel momento mi voltavano le spalle, occupati con il loro lavoro. Così ho
guadagnato la porta e sono uscito frettolosamente sulla strada, ma uno di loro
mi ha raggiunto altrettanto velocemente, prima che si chiudesse la porta
scorrevole dietro di me: ha lasciato questo allo sportello, mi ha detto in
fretta ma con decisione; e mi ha mostrato il mio portafogli di pelle nera.
Bruno Magnolfi
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