mercoledì 12 marzo 2014

Equivoci.

            

Quando ho cercato di uscire dall'ufficio postale mi sono subito reso conto che qualcosa non andava. Difatti avevo appena starnutito, cosa per me piuttosto usuale in questo periodo, ma una lunga striscia di muco mi si era impataccata sopra la giacca. Perciò mi sono subito rivolto ad un impiegato chiedendogli dove fosse il bagno, ed immediatamente mi sono chiuso dentro la piccola stanza che quello mi ha indicato. Mi era parso comunque, fin da quando ero arrivato, anche se non avrei saputo dire per quale motivo, che qualcos'altro non andasse per il verso giusto, come se fosse accaduto qualcosa dentro a quegli ambienti, ed adesso tutti gli impiegati stessero come sospesi, sovrappensiero, imbambolati per problemi più importanti delle cose sostanzialmente abituali dentro ad uffici di quel genere.
Ho cercato di ascoltare i discorsi che sentivo fare oltre la porta chiusa, ma non sono riuscito a capire quasi niente, se non i lamenti di qualcuno tra i dipendenti al lavoro, nei confronti di quel pubblico sempre troppo critico, pretenzioso, capace solo di alzare la voce di fronte al più piccolo problema. Mi sono ripulito alla meglio, ma poi, quando sono tornato ad uscire, mi sono reso conto che tutti quanti in quell’ambiente mi stavano osservando. Frettolosamente sono tornato indietro fingendo di essermi dimenticato di qualcosa e chiudendomi di nuovo in quel piccolo bagno, e provando contemporaneamente un sentimento astratto di vergogna, in realtà anche per me quasi impossibile da decifrare.
Sono rimasto ancora a lungo là dentro, seduto su di uno scatolone, chiedendomi cosa avrei potuto trovare di fronte a me quando avessi tentato nuovamente di uscire. Nel dubbio profondo ho tardato quanto più mi era possibile, accorgendomi ad un certo punto che forse avrei dovuto attendere semplicemente che gli impiegati si fossero dimenticati del tutto di me. A questo proposito ho guardato il mio orologio da polso: non mancava molto alla fine dell’orario mattiniero di apertura al pubblico, così ho pensato che se fossi uscito dal bagno subito oltre quel limite, probabilmente non avrei trovato i dipendenti delle poste ancora seduti agli sportelli, ma indaffarati sul retro degli uffici, cosa per me estremamente favorevole.
Purtroppo dopo poco è intervenuto qualcuno a bussare energicamente alla mia porta, mi ha chiesto anche qualcosa con tono deciso che però non ho propriamente compreso, e così mi sono limitato a rispondere con voce pacata che sarei uscito dal bagno fra qualche minuto. Invece non ho trovato più il coraggio, e abbandonandomi ad un fatalismo per me praticamente inusuale, ho fatto scattare la serratura, lasciando in questo modo a chiunque la possibilità di aprire la porta e di farmi trovare seduto sullo sgabello improvvisato.
Così è stato difatti, ma forse avvisato dai rumori dei tacchi delle scarpe che ho sentito avvicinarsi subito prima, mi sono posizionato chino, con la faccia affondata dentro le palme delle mani, come se tutto in me fosse perduto, perfino l’orgoglio. Si sente male, ha detto o chiesto qualcuno sulla soglia, ed io senza guardare ho fatto cenno di no con la testa; poi, chiunque fosse stato a pormi la domanda, è tornato a riaccostare la porta e ad andarsene. A quel punto mi sono prontamente alzato, ho preso tutto il coraggio necessario e sono finalmente uscito. Praticamente non c’era più nessuno, solo un paio di impiegati che in quel momento mi voltavano le spalle, occupati con il loro lavoro. Così ho guadagnato la porta e sono uscito frettolosamente sulla strada, ma uno di loro mi ha raggiunto altrettanto velocemente, prima che si chiudesse la porta scorrevole dietro di me: ha lasciato questo allo sportello, mi ha detto in fretta ma con decisione; e mi ha mostrato il mio portafogli di pelle nera.


Bruno Magnolfi

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