L’ampio
salotto di casa risulta ingombro, più che da mobili antichi, da un arredamento evidentemente
ormai vecchio, invariato da diversi decenni, ed il grande tavolo di legno
centrale rimane posizionato sopra un tappeto un po’ logoro, a coprire un
pavimento di un vago colore rosso scuro, ben incerato però, e costituito da
piastrelle di una normale graniglia di marmi. L’anziana signora vorrebbe dirgli
qualcosa, mentre continua con dedizione ad impegnarsi su un piccolo lavoro di
cucito, seduta nell’angolo più luminoso di quella stanza, ma lui sembra
distante, pur seduto a quel tavolo, interessato com’è dalla lettura di un
articolo del suo giornale.
Dobbiamo
essere maggiormente concreti e realisti, e pensare che le cose da ora in avanti
possono persino peggiorare, vorrebbe forse spiegarle lui, magari soltanto per
smuovere qualcosa della sua sensibilità residua, probabilmente ancora presente
nella vecchia mentalità della sua mamma, pur così restia a qualsiasi cambiamento;
ma di fatto, immobile sopra le pagine scritte, allontana subito da sé
quell’argomento, ad evitare che le parole e le frasi possibili, inanellandosi velocemente
tra loro, portino verso chissà quali discorsi, che adesso secondo lui non è
proprio il caso di affrontare. Lei invece, nello stesso momento, in qualche
maniera riesce persino ad immaginare proprio quei pensieri del figlio, mentre stanno
sull’orlo del farsi parole, ma sapendo già l’argomento a cui si potrebbero
riferire, si sente poco propensa a spianargli la strada di quel dialogo, e così
resta in perfetto silenzio, nell’attesa magari di una prova decisamente più convincente
di personalità, da parte di lui. In più sa che è quasi l’ora del tè, un rito praticamente
irrinunciabile per una come lei, eppure resta in attesa, come se dovesse essere
proprio suo figlio a ricordarglielo. Infine sbuffa, muovendo sensibilmente le
mani e insieme il pezzo di stoffa a cui sta lavorando, e lui, proprio per non
darle soddisfazione, finge di non accorgersi praticamente di niente.
Allora
lei si alza, appoggia con cura le sue cose, poi senza fermarsi chiede a suo
figlio, ricordandosi d’improvviso che ha oramai quasi cinquant’anni, se
desiderasse una tazza di quel tè che proprio in questo momento sta andando in
cucina per preparare, ed infine esce dalla stanza, dopo lo scontato diniego di
lui, che non ha mai gradito, in tutta la sua vita, quella bevanda. Lui allora
ne approfitta per alzarsi dal tavolo, andare alla finestra, e scansando la
tendina, guardare fuori con occhio indagatore quel minimo panorama invariato da
sempre, per poi tornare a sedersi, quasi nella stessa posizione di prima. Le
giornate si sono accorciate, pensa di dire alla mamma appena lei sarà tornata
con la sua tazza fumante, ma quando questo avviene davvero, gli sembra
improvvisamente una frase talmente scontata da sentirsi quasi in obbligo di
evitare l’apertura della sua bocca. Anche lei probabilmente pensa la medesima
cosa riguardo i pomeriggi sempre più brevi, tanto da accendere una lampada
accanto alla sua postazione, una volta seduta; ma anche a lei forse risulta un
argomento troppo banale.
Allora
il figlio si alza, indossa con metodo la sua giacca pesante, e dice che adesso
andrà a fare due passi, per tornare tra un’ora o poco più, proprio per aiutarla
a preparare la cena; lei lo osserva un momento, sollevando lo sguardo sopra le
lenti dei suoi occhiali, e dice soltanto: va bene, senza espressione, e nient’altro.
Ha ancora molte cose da imparare, pensa subito dentro di sé, mentre ascolta in
fondo all’ingresso, il portone aprirsi e richiudersi: e forse non c’è più
neanche il tempo per insegnargli davvero qualcosa.
Bruno
Magnolfi
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