Mi piace piegare la testa in avanti, affondare il
viso dentro le braccia, e restare seduto sopra un gradino, vicino al
marciapiede di una strada qualsiasi, o magari su una panchina dei giardinetti,
senza avere niente da fare, salvo scaldarmi nel sole, come uno di questi gatti
randagi. Chiudo gli occhi, allento la tensione, ed un’immagine di quiete mi
prende, come fosse un piccolo sonno ristoratore che magari riesce soltanto a
durare lo spazio di un attimo, ma che indubbiamente incoraggia, e dà la spinta sufficiente
per tirare avanti.
Poi mi alzo, riprendo a girare come sempre per
questo quartiere, nella mia estenuante ricerca di quella serenità che purtroppo
continua a sfuggirmi, e che purtroppo ritengo fondamentale per formulare
qualche progetto che valga almeno per questa giornata. Mi fermo a guardare
qualcosa, attratto come sono da ciò che almeno non riesco a spiegarmi
nell'immediatezza, e mentre sto immobile con lo sguardo perso sopra qualcosa,
una persona mi avvicina, sfiorandomi un braccio come per presentarsi, o farmi
notare che si è accorta di me. La guardo in silenzio, questa signora dall'espressione
elegante e con il vestiario di chi non ha problemi di soldi. Non penso niente
di lei, non ho bisogno di fare congetture. Posso parlarle, mi chiede, ed io:
certo, le faccio con calma, praticamente in questo momento non ho neppure niente
da fare.
Mi indica un caffè lì vicino, così entriamo senza
parlare e ci accomodiamo ad un tavolo libero. Vorrei aiutarla, mi dice, e
nient’altro. Naturalmente osservo meglio la donna, ma non mi vengono idee in
mente, neppure riguardo la richiesta che ha fatto. Le dico che mi reputo
soltanto un qualsiasi vagabondo, uno che si è ritrovato ad essere così da un
giorno a quell’altro, ma lei mi interrompe: non voglio sapere la sua storia,
comprendo bene che la sua non è assolutamente una scelta, ma io vorrei soltanto
darle una mano, nient’altro.
Respiro, il cameriere ci serve i caffè, io mi
preoccupo della mia tazzina, e intanto penso che in fondo non saprei cosa
chiedere a questa signora, se non qualche spicciolo come in fondo chiedo spesso
anche ad altri. Però il mio orgoglio mi fa pensare semplicemente che non ho
bisogno di niente, così alzo le spalle, perché la mia vita va avanti,
oscillando tra gli orari in cui mi reco alla mensa, e le nottate da trascorrere
possibilmente in un posto al coperto. Improvvisamente lei sembra di fretta,
apre il borsello e mi mette in una mano un po’ dei suoi soldi, poi, senza
aspettare risposta, paga velocemente il cameriere, e alla fine mi saluta
dicendomi buona fortuna, nient’altro.
Attendo ancora un momento, poi mi alzo per uscire
da quel locale, e di colpo, quando sono ormai sulla porta, mi sento come una
persona diversa, uno che adesso ha quasi meno energia, e gli resta soltanto la
voglia di sprofondarsi nelle sue cose, con estrema indifferenza verso tutto ciò
che gli resta attorno. Riprendo il mio vagare, mi fermo, vado ancora avanti,
alla fine mi siedo sopra il gradino di un palazzo lì accanto.
Immagino la donna di prima che mette in mano dei
soldi a chiunque incontri per strada, come per liberarsi di qualcosa che porta
con sé. Ma alla fine rifletto meglio, ed arrivo a pensare come ci siano ancora
delle persone in fondo meravigliose, che mostrano il senso primario della loro esistenza.
Vorrei alzarmi da qui, andarmene solo da qualche parte, ma non posso proprio
adesso mostrarmi egoista: dividerò, questi soldi che ho avuto, con il primo
accattone che incontro, lo giuro a me stesso, e poi starò meglio; la serenità
scenderà poco a poco dentro di me, almeno per oggi.
Bruno Magnolfi
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