Sento
il rumore delle macchine che transitano lungo il viale; muovo lentamente una
mano, prendo il cartone ancora quasi pieno che sta qui vicino, e butto giù un
sorso di vino, tanto per sentire più caldo e meno rumore. Generalmente non
dormo su una panchina, non è neppure il mio stile, voglio dire. Soltanto, ho
avuto qualche problema ultimamente, e così ho pensato che è meglio se mi tolgo
dai piedi almeno per un po’. Ho fatto qualche scherzetto a qualcuno giù al dormitorio,
dove vado sempre in queste giornate così umide; niente di serio, roba quasi tra
amici, però qualcuno di loro adesso penso proprio voglia farmela pagare. Ma
passerà, come tutte le cose, e tra poco tempo nessuno avrà più voglia neppure
di ricordarsene di questa faccenda.
La cosa che mi preoccupa di più
nel passare la notte da solo in questi giardinetti, è data da quegli sbandati
che vanno sempre a rompere le scatole alla gente proprio come me. Io sto qui
bello tranquillo con la mia coperta pesante, e quelli ti vengono attorno e
sghignazzano anche, e se qualcuno di loro è ubriaco finisce pure che cercano
persino di arrostirti. Ma io so difendermi, e dormo sempre con il coltello
sfoderato qui accanto, pronto per qualsiasi evenienza. Certo, mi piacerebbe poter
tornare bello tranquillo giù al dormitorio, e forse sarebbe anche meglio, ma
adesso non è proprio aria, mi devo tenere distante, non c'è niente da fare.
Avevo trovato una tizia tutta stranita che comunque ci stava, e perciò me la
sono subito portata nel dormitorio; e poi, per permettermi di farle un regalo,
il minimo che potessi fare per lei, ho dovuto ripulire nel buio qualche tasca
rigonfia di qualcuno che stava là dentro. Tra persone normali si potrebbe anche
comprendere un gesto del genere, penso, ma in questo ambiente spesso non c’è
niente da fare, ognuno è attaccato alle proprie cose quasi come un polpo allo
scoglio.
Così, eccomi qua. E mentre cerco
di prendere sonno avverto rumori sospetti un po' dappertutto, così butto giù
un'altra sorsata dal mio bel cartone, e poi mi giro su un fianco per provare a
chiudere gli occhi. C'è un fanale in fondo al vialetto, ed illumina abbastanza
bene tutto questo spiazzo dove mi sono sistemato; la luce dà un certo fastidio,
ma stare nel buio credo sarebbe anche peggio. Poi arrivano questi tre o quattro
stronzi: li sento mentre fingono di avvicinarsi alla chetichella, ma ridono e
fanno più casino loro di venti bambini in un parco giochi. Mi preparo, tiro giù
intanto una gamba e impugno con forza il coltello: al primo che mi viene più a
tiro, gli faccio subito un bel graffio da qualche parte, così gli altri se la
fanno subito sotto e mi tolgono velocemente il disturbo. Non ha fegato la gente
come questa, basta fare la faccia cattiva e si impauriscono subito.
Girano attorno, mi guardano, io
fingo ancora di stare nel mondo dei sogni. Poi uno mi viene vicino e dice
piano: è lui; così capisco che non è esattamente come pensavo. Apro gli occhi,
mi tiro su, la coperta nasconde il coltello, loro non dicono niente, ma mi
sembra che le cose non si mettano bene per me. Cosa volete, dico tanto per
dire, ma quelli neppure rispondono. Dobbiamo farti uno sfregio, dice uno con
indifferenza, così imparerai come ci si deve comportare. Così lo guardo, quello
mi viene più vicino, ha un coltello esagerato dentro una mano, e me lo punta
proprio sugli occhi. Quando sta a tiro gli pianto il mio temperino dentro una
coscia e mi scanso per evitare il suo colpo, lui casca per terra e si rotola
per il dolore. Due degli altri scappano subito, uno invece resta e mi dice che
volevano soltanto farmi paura, nient’altro. Portalo via, gli dico con voce
gracchiante, perciò quello lo alza e l’aiuta a rimettersi in piedi ed a camminare.
Mentre li guardo andarsene strascicandosi nella maniera che possono, penso però
che prima o poi torneranno, e a quel punto sarà proprio dura per me. Dovrò
nascondermi per chissà quanto tempo, rifletto, forse cambiare addirittura città.
Non è andata bene, dico tra me, il mio futuro ormai è ipotecato.
Bruno Magnolfi
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