lunedì 23 gennaio 2017

Tornaconto personale.

           

Non interessa proprio niente questo cielo e quest'aria fresca, oppure anche il vento, che sia davvero così ghiaccio o meno, e che tutti proseguano a parlare continuamente di assurde novità. Io mi rannicchio nella mia stanzetta, osservo un punto nel niente, generalmente sul piano vuoto del tavolo, e lascio che le giornate trascorrano monotone, senza alcuna scadenza, evitando di pormi qualsiasi traguardo da raggiungere. Sono stanco di tutto quello che continua a succedere, vorrei che da un certo momento in avanti non si parlasse più assolutamente di niente, e che si rispettasse il sacrosanto diritto alla calma, al vuoto, all’assenza di enfasi e di emozioni.
Ho imparato a spengere la luce elettrica appena si fa buio a sufficienza, e ad accostarmi alla finestra per osservare senza essere visto la strada subito di fronte. Le persone passano, si fermano, parlano tra loro, a volte ridono e fanno dei gesti allargando le braccia o indicando qualcosa. Transitano vicino ai miei vetri: se volessi potrei addirittura fermare qualcuno, chiedergli delle cose, ascoltare meglio le voci che adesso avverto a malapena; ma a me non importa niente di tutto questo, mi basta sapere che le persone sono lì, come sempre, a credere che sia ancora possibile scambiarsi opinioni, dialogare di interessi comuni, e sentirsi più ricchi e aggiornati soltanto per avere saputo qualcosa che fino adesso magari hanno soltanto immaginato. 
Non c’è nulla oltre le loro speranze, rifletto, niente che possa davvero assumere il senso di qualcosa che procede, progredisce, che migliora. E’ tutto identico, vorrei dire alla gente, sono soltanto illusioni quelle che continuate a scambiarvi tra di voi, sarà sempre tutto uguale, con un semplice alternarsi di tipologie che provocano la sensazione del movimento, del cambio, della progressione, ma che invece lascia sempre ogni cosa nella stessa maniera, come è sempre stata.
Riaccendo la luce, torno al mio piano del tavolo, liscio, nudo ed insulso, che accoglie comunque il mio sguardo come per lasciarlo riposare. Vedo qualcosa davanti a me, i miei desideri innanzitutto, mentre si fanno logica continuazione di ogni mio pur piccolo sforzo. Sopra al tavolo sono rimaste delle briciole di pane, simbolo di quella quotidianità di cui mi avvolgo per tutto il giorno restando qui seduto. Non mi aspetto niente, naturalmente, se non restare quello che sono il più possibile, fino ai margini estremi.
Qualcuno bussa, apro la porta della mia stanzetta, e scopro che un conoscente che frequentavo parecchio tempo fa, è venuto chissà come fino alla mia tana a farmi visita. Lo lascio entrare, è tanto che non ci vediamo, così lo fo sedere davanti a me, ed alle sue domande gli spiego subito le mie giornate, il mio scorrere del tempo, le sensazioni pur piccole e poco essenziali che provo normalmente. Lui ascolta, forse non mi segue neppure nei miei ragionamenti, infatti si alza, va fino alla finestra, guarda fuori. Dice all’improvviso che non posso pensare sul serio le cose che gli sto dicendo. Mi zittisco, sapevo fin dall’inizio che non dovevo parlargli affatto delle mie teorie. Lui sembra subito quasi alterato, e poco dopo difatti se ne va, lasciando soltanto che io gli apra la porta e scambi con lui un semplice saluto frettoloso.
Torno alla finestra: mi pare che ci sia qualcosa di diverso che si muova adesso tra tutte le persone, come qualcuno che ordisca un complotto, informando poco alla volta tutti gli altri. Non so, chiudo le tendine per neutralizzare quel senso di curiosità che forse mi prende, così torno a sedermi al tavolo, e lascio che il vuoto della mia stanza mi riprenda completamente con sé, e che la calma di sempre torni ad essere regina del mio tempo. Se succederà qualcosa, penso, forse lo saprò per ultimo. In ogni caso potrò sempre dire a mia discolpa che non era per me di alcun interesse.


Bruno Magnolfi

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