In serate come questa
preferisco girare per strada da solo senza incontrare nessuno, con il giaccone
abbottonato fin sopra al collo, le mani sprofondare dentro le tasche, il passo
cadenzato e quasi indifferente. Non è che non trovi qualcosa da fare o che non
abbia degli amici con cui magari fermarmi per scambiare quattro parole; è solo
che niente mi va bene di tutto questo, e preferisco di gran lunga soltanto
mandare avanti le mie scarpe, quasi per una sorta di automatismo, e
possibilmente non pensare a un bel nulla.
Credo proprio che a
nessuno interessi davvero quello che faccio, come mi guadagni da vivere, quale
futuro forse stia cercando di mettere a frutto; alla televisione mi dicono
continuamente di pensare a me stesso, di fregarmene completamente di tutti
coloro che mi circondano, anzi, di sfruttare a mio vantaggio ogni possibile
debolezza degli altri, in maniera che le cose girino meglio per me, proprio nel
confronto con le altre persone. Quando poi giungono quelle rare volte in cui mi
fermo nella piazza di questo paese, davanti al bar Soldini per essere precisi, e
se decido di entrare all’interno del locale, so da subito di trovarci dentro soltanto
dei disperati che si attaccano con volontà a quanto hanno intorno: alcuni senza
riuscire neppure a comprendere appieno la loro condizione, altri invece, pur
essendone a conoscenza, lasciandosi andare alla monotonia di ogni sera, forse
per cercare di dimenticarla.
A me al contrario non
interessa un bel niente dei loro problemi, perché sono distante da quelle
persone, tanto che meno riesco a comportarmi come un animale sociale, meglio
riesco a sopportare queste giornate a mio parere senza significato. Qualcuno
dice di me che sono un po’ rustico, troppo sulle mie, e forse quando succede
che mi viene fatto presente qualcosa del genere, magari con delle battute di
spirito, provo subito un leggero dispiacere, anche
se in ogni caso non posso certo essere diverso da
come mi descrivono, soltanto per avere delle persone che coltivano per me un
moto di simpatia. So che non è facile oggi rimanere neutrali: ci si deve
schierare, è inevitabile, e trovare sempre la colpa di tutte le cose, indicare
un nemico, e spiegare con poche parole per chi si possa mai spendere la propria
fiducia. Alla fine mi sento un estraneo, le mie riflessioni restano sempre come
al di fuori di quanto si dovrebbe pensare
davvero.
Infine mi decido ed entro nel bar.
Un caffè ristretto, dico davanti al bancone, e subito mi si accosta uno che mi
fa dei complimenti generici, e sostiene che era un pezzo che non mi si vedeva
da quelle parti. Lo saluto, poi dico che non sono stato troppo bene in questo
ultimo periodo, tanto per trovare qualcosa da dire, ma quello insiste e
comincia a spiegarmi tutto quello che, secondo lui, mi sono perso della vita di
questo quartiere. Vengo a sapere così che due ragazzi si sono scazzottati
proprio là davanti, e che lo hanno fatto stupidamente per una ragazza, quella
del negozio di merceria ed abbigliamento, la figlia di Marisa Carraresi, e che
dopo questo lei sembra si sia dileguata e che non voglia più vedere nessuno dei
due. Annuisco, tanto per dare importanza alla cosa, poi butto giù il mio caffè
e lascio dei soldi accanto alla tazzina, spiegando al tizio che ho accanto che
me ne vado perché ho qualcosa da fare. Esco così dal locale, mi guardo bene
attorno, infine riprendo tranquillamente per la mia strada: cosa mi importa di
questi stupidi pettegolezzi, penso; ci sono altre cose ben più importanti di
queste; e se proprio per caso non ci fossero, bisognerebbe almeno sforzarsi per
provare a inventarle.
Bruno Magnolfi
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