Certe volte non
vorrei neppure uscire di casa. Accatasto i miei libri sopra al piano della
scrivania, mi metto accanto tutti gli appunti delle lezioni in facoltà, poi le
matite, i fogli di carta, i miei quaderni, e mi pare quasi che sia tutto lì,
vicino a me, ciò che m’interessa maggiormente. Fuori dalla finestra la giornata
di sole prosegue il suo corso come sempre, eppure, chino sopra al mio tavolo,
io modello poco per volta il mio sapere, assumo la coscienza di quanto sicuramente
potrà servirmi nel futuro, mando avanti il mio più forte convincimento, quello
per cui tutto è migliorabile, e la positività potrà svolgere un suo ruolo,
prima o dopo.
La strada che si
snoda là sotto è comunque un forte richiamo anche per me; un insieme eterogeneo
di elementi negativi e positivi che gridano spesso la loro urgenza, come la
necessità che molti provano di mostrarsi delle vere persone, di sentirsi
perennemente coinvolti in qualcosa, di essere chiamati tutti ad una scelta, pur
sbagliata che possa dimostrarsi. Osservo sopra al davanzale qualcuno che
cammina lungo il marciapiede, e non so decidermi a pensare quanto sia meglio
svagarmi, piuttosto che continuare a riflettere ancora su tutte le mie cose.
Poi chiudo i libri ed esco.
Intendo passeggiare, soffermarmi su qualcosa che
attiri i miei interessi, ma non posso certo ridurmi a transitare sempre davanti
al negozio della merceria, come solo un fissato potrebbe fare; cosi è meglio se
prendo la bicicletta, per pedalare in silenzio senza grandi pensieri, e fare un
giro verso la campagna circostante, spingermi magari fin dove iniziano i boschi
rigogliosi, magari fermarmi sopra un poggio più in alto ad ascoltare il vento,
ad osservare i merli che si rincorrono, guardare le pecore al pascolo se oggi
ci sono, radunate in qualche campo poco lontano.
Poi torno indietro: non c’era niente che non
conoscessi già lungo quei viottoli, tanto vale andarmi ad infilare tra le case
del paese, nella ricerca di qualcuno che forse già conosco. In fondo mi piacerebbe
anche incontrare di nuovo Renato, magari da solo, a distanza ravvicinata, senza
un pubblico a sommuovere i nostri comportamenti, e fermarmi di fronte a lui con
grande calma, anche con profonda serietà, e dirgli con voce leggera che non mi
ha fatto niente quando mi ha colpito, perché niente avrebbe mai potuto farmi,
visto che le nostre divisioni non esistono davvero, sono frutto soltanto di una
maniera distorta di vedere tutte le cose.
Ho colpito la tua incapacità di tenerti da una
parte, risponderebbe forse lui; quel tuo metterti in mezzo a qualcosa che
sembrava già prendere per me una direzione favorevole. Non ce l’ho con te, non
ce l’avevo neanche prima: è ciò che rappresenti il vero problema che poni
adesso, quella presunta diversità superiore che manifesti in ogni attimo,
lasciando sentire tutti noi soltanto dei poveri sciocchi. Clara è una ragazza
che facilmente si lascia incantare da qualcosa che forse neppure comprende fino
in fondo, subendo una fascinazione effimera dai tuoi comportamenti. Però è lei
che in qualche modo simboleggia al meglio la nostra cittadina, non certo uno
come te.
Va bene, potrei dire io, in ogni caso ricorrere a
dei mezzi estremi non lascia certo spazio a molte fantasie, e se tu hai deciso
di porti in questo modo, sei tu che adesso ne paghi tutte le conseguenze. Clara
credo sia una persona libera, sceglierà cosa desidera senza che siano i pugni o
la violenza ad imporle qualcosa. Comunque hai ragione almeno su una cosa: io
non mi sento parte attiva di questo paese, mentre lei lo è, a tutti gli
effetti, e forse per questo motivo dovrà essere uno proprio come te a farsi
avanti con lei, e magari ricordarle che lo spirito pratico è il migliore.
Bruno Magnolfi
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