Io abito assieme ai
miei genitori in via Boito. In genere non esco molto di casa, mi piace rimanere
nel mio angolo a sistemare con calma tutti i miei pensieri. Però al mattino sto
sempre nel negozio di mio padre, che fa il fornaio, e che a seconda dei giorni della
settimana lavora nel laboratorio per quasi tutta la notte, ed in parte anche al
mattino, in negozio con me. Al pomeriggio invece lascio il banco delle vendite alla
mia mamma, e così io posso fare ciò che più mi piace. Normalmente resto in casa
in pratica da solo, rispettando il silenzio doveroso verso mio padre che si concede
il dovuto riposo nella sua camera da letto, e soltanto verso le cinque generalmente
esco in punta di piedi per raggiungere i miei amici nella vicina piazza del
monumento. Poi resto lì seduto con gli altri, e ascolto le minute novità che
vengono snocciolate dai ragazzi, oppure mi diverto ad ascoltare gli immancabili
scambi di battute tra di loro. Tutti sulle panchine mi giudicano un timido, ma
a me non interessa molto quello che dicono di me, basta che nessuno mi faccia
domande troppo dirette, e che mi lascino in pace, senza tirarmi dentro ai loro
problemi.
Stasera, da via
Colombo, arriva improvvisamente questo tizio, Tommaso, che ogni tanto si vede alle
panchine della nostra piazza, ma mentre attraversa lentamente, dritto verso di
noi, Renato gli va incontro, come per sbarrare il suo passo. Non si dicono
niente loro due, si guardano per un lungo attimo e poi basta, come se tutto
fosse già chiaro, evidente, senza necessari approfondimenti. Renato prende
l’iniziativa e colpisce l’altro, senza spiegazioni, facendolo cadere a terra, poi
torna con espressione soddisfatta verso di noi. Nessuno ha niente da dire,
nessuno si scuote, o si alza, o fa un minimo gesto di meraviglia. Sono fatti
loro, sembra che sia il pensiero che attraversa la mente di tutti, a noi non
deve interessare un bel niente.
A me invece non piace
quanto è successo, così aspetto qualche minuto in silenzio, quindi mi alzo
dalla panchina, e come ricordandomi all’improvviso qualcosa da fare, me ne vado
dalla piazza senza salutare nessuno, e giro attorno all’isolato riflettendo su
quanto ho appena visto. Rientro in via Colombo da una stradina minore, e poi
raggiungo il negozio dei miei genitori, ancora aperto, poco più avanti. Saluto
mia madre che sta servendo qualcuno, le chiedo se tutto vada bene o se per caso
abbia bisogno di aiuto. Poi torno sulla strada. Dopo un attimo arriva Tommaso
da solo, con un fazzoletto sopra la bocca. Non mi guarda neppure, così mi
supera con passo lento, ma io gli dico qualcosa da dietro, pronunciando delle
parole che non so neppure io da dove mi giungano.
Mi dispiace, gli fo,
e lui si gira meravigliato. E’ da stupidi affrontare in questo modo i problemi,
e lui annuisce. Si ferma, mi guarda, forse mette a fuoco meglio quanto cerco di
dirgli. Difficile evitare di reagire, gli dico, ma credo sia da persone
migliori. Ti ringrazio, mi fa, pensavo proprio che foste tutti uguali là in
mezzo. Mi sbagliavo. Così mi stringe la mano, ed io la stringo a lui; poi non
c’è altro da dire, così ce ne andiamo, ognuno dietro ai propri problemi. Forse non
si dovrebbe essere troppo solidali con uno che non fa neanche parte della tua
compagnia, però a me sembra giusto in questa maniera, ed adesso che ho fatto
questo gesto mi sento meglio, mi pare di aver tirato fuori qualcosa di me
stesso che normalmente tengo celato in mezzo a miei pensieri e alle mie
giornate monotone, scandite dagli orari del negozio e della mia famiglia. Forse
per qualche giorno non tornerò a farmi vedere dagli altri sulle panchine, ma
non importa: tanto qualcuno dei ragazzi, quasi ogni sera, arriva fino al nostro
forno per comperarsi del pane o anche della focaccia.
Bruno Magnolfi
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