Lei va sempre da sola
fino alla scuola. O meglio, senza la mamma, oppure il babbo, al limite giusto
con qualche compagna di classe vicina di casa che volentieri si affianca a lei
durante quel breve tragitto. Però in certi giorni, con la sua cartella ben
chiusa stretta dentro la mano, lei cammina in solitudine a passo cadenzato e gli
occhi bassi, sfiorando quasi le case, come le hanno detto di fare, senza mai fermarsi,
fino a quando non si ritrova a varcare il cancello, con tutti gli altri alunni dentro
al cortile, e ad aspettare quel suono martellante della campanella, prima di
salire le scale.
Marisa, la chiama in quei minuti il suo compagno di
scuola preferito, e lei subito lo cerca con lo sguardo e gli sorride, scambia
con lui le sue sensazioni di bambina, parlando della maestra, dei giochi, anche
dei propri genitori, toccando con semplicità gli argomenti più comuni, prima di
entrare in una classe purtroppo diversa dalla sua, che è già più grande di un
anno. Qualche volta si sono tenuti la mano, di nascosto, e a lei è piaciuto
parecchio, tanto che adesso, a distanza di oltre cinquant'anni, riesce ancora a
ricordare perfettamente quei deliziosi momenti.
Poi la sua adolescenza è un lento passaggio quasi
insignificante, percorso nel tentativo di ritrovare in qualcuno la stessa
dolcezza provata negli anni della scuola elementare, fino ad arrivare a conoscere
Ernesto, che diverrà suo marito, quasi come per una forma naturale di tutte le
cose. Per lei innamorarsi è stato sempre cercare di riprovare delle sensazioni
che nel passato avrà già conosciuto, o almeno tentare di avvicinarsi proprio a
quello struggimento indimenticabile.
La scuola elementare è grande, piena di bambini
entusiasti e divertenti; c’è anche la Martini in classe con lei, e tra loro ci
sono così tanti alunni che riusciranno sicuramente a trovare la loro strada, ma
ce ne sono anche di quelli che purtroppo non combineranno mai nulla di buono.
Marisa adesso, quando si sdraia sul suo letto, nel buio solitario della camera
rimasta la stessa da tanti anni, a volte li elenca nella sua mente, e li
ritrova parecchi, come non fosse trascorso tutto quel tempo, come se fossero
tutti ancora lì, a portata di mano. Poi torna a casa, dopo l’ultima campanella,
dopo tutta la confusione dei bambini che escono correndo in mezzo al cortile,
alla ricerca dei genitori o dei nonni, dopo aver salutato lui, di nuovo lì, a
dirle: ciao Marisa, vediamoci dopo, ai giardinetti, posso aiutarti nei compiti
che ti hanno dato da fare. Va bene, fa lei, siamo d’accordo.
In certi momenti, nella sua mente, lei sa che
un’eclisse solare abbuia tutto il resto per una manciata corposa di anni, e la
sua malcelata durezza dell’età adulta, è forse soltanto il bisogno di tenere
nascosto da qualche parte dentro di sé, qualcosa di prezioso e di assolutamente
non condivisibile. Quel bambino, di cui in seguito non vuole più ripetere
neppure il nome, si perde più avanti, quando saranno più grandi, e lei non lo
cercherà più, perché è assurdo tentare di cambiare qualcosa che il destino ha
già definito, e non potrà mai neppure assomigliare a ciò che era stato.
Ciao mamma, dice Clara rientrando in casa; e di
colpo tutti i bambini dentro di sé si prendono per mano e subito se ne vanno,
fingendo di non essere neppure mai stati da quelle parti. Non si può neanche
desiderare di sentirsi diversi, pensa Marisa certe volte. Si è così, bisogna
piegarsi a quanto ci capita. Ho una storia ufficiale da raccontare,
naturalmente, dice all’ombra di sé sotto al sole; ma anche una diversa, che
vorrò sempre tenere soltanto per me.
Bruno Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento