La giornata stamattina
sembra fresca, ed il cielo appare solo parzialmente annuvolato, mentre guido la
mia macchina verso la piscina sportiva dove mi reco tre volte alla settimana
prima di andare al lavoro. È presto, nel bagagliaio ho inserito la sacca con
dentro l'accappatoio e le altre cose che mi servono, e con calma percorro le
strade che portano al quartiere cittadino dello sport. Forse non avrei neppure
troppa voglia di togliermi i vestiti ed infilarmi nell'acqua trasparente al
sapore di cloro, però è un impegno che ho preso con me stesso e devo
rispettarlo.
Davanti all’ingresso
dell’edificio allungato ho un ripensamento: spengo il motore dell’auto e resto immobile
a guardare cosa avviene attorno a me. Giungono in pochi minuti altre due
macchine, e gli autisti appena parcheggiato scendono in fretta con le loro sacche
per andare ad infilarsi subito negli spogliatoi. Forse c’è qualcosa che stride
in tutto questo, rifletto. Attendo ancora, la giornata si fa leggermente più
luminosa, e nei giardinetti qui accanto qualche merlo becca in terra in mezzo
all’erba. Forse potrei farmi una passeggiata, invece di spogliarmi ed entrare
nell'acqua, anche se non cambierebbe molto il risultato.
Perciò esco dall'auto, aspetto con
calma la prima persona che passa da queste parti e poi le chiedo se le andrebbe
di farmi compagnia. È una signora con il suo cagnolino, e dapprima mi guarda in
maniera storta, poi però mi dice che posso stare con lei mentre accudisce e
porta in giro il suo cane. Mi spiega che ogni mattina loro due fanno più o meno
il solito giretto, perché il suo cane è un abitudinario, così lei ormai conosce
praticamente tutti gli alberi della zona. Annuisco, poi dico che mi pare triste
fare sempre le medesime cose: “anche io difatti dovevo andare in piscina”, le
spiego meglio, “ma all'improvviso mi sono sentito soltanto uno sciocco”.
La signora ed il suo cane ascoltano
in silenzio le mie considerazioni, e poco dopo mi salutano per attraversare la
strada, ed io resto da solo mentre adesso si avvicina inesorabilmente l’ora in
cui devo recarmi sul posto di lavoro. Vorrei proprio trovare qualcosa che mi
impedisse di andarci, e non perché ci stia poi tanto male, quanto per l’improvviso
bisogno che provo di riflettere meglio e pacatamente su questa faccenda delle
abitudini che adesso mi opprimono. Mi siedo sopra una panchina, e poco dopo
arriva un tizio che apparentemente non ha molto da fare, se non tirare fuori con
calma il suo giornale e mettersi a leggerlo proprio accanto a me. Non gli dico
niente, mi basta seguire i suoi gesti ed interpretare l’attenzione che impiega
nel seguire gli articoli. Quindi mi alzo e torno lentamente verso la mia
macchina.
Quindi telefono al mio capufficio,
gli spiego che non mi sento molto bene, e che perciò non posso proprio
raggiungerlo in questo momento. Salgo di nuovo sulla mia macchina, potrei
tornare a casa penso, ma forse quest’aria di libertà che sto provando
terminerebbe troppo in fretta. Perciò metto in moto ed esco dal parcheggio,
percorro il viale accanto allo stadio e poco lontano dai campi da tennis,
quindi imbocco la strada verso la periferia ed alla fine mi ritrovo velocemente
fuori dal caseggiato: ecco, forse qua da qualche parte ci può essere qualcosa
che fa per me penso; probabilmente devo soltanto raggiungere il paese più
vicino, visitarlo, concentrarmi sui dettagli delle viuzze e delle case più
vecchie. Poi a quel punto forse mi sentirò più pronto per tornare davvero sui
miei passi.
Bruno Magnolfi
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