"Mi sarebbe sempre piaciuto cantare", dico io
quasi in un sussurro. Poi ruoto leggermente la testa ed il dorso, per osservare
se dietro di me qualcuno per caso avesse ascoltato con curiosità le mie parole,
mentre io, con la mia amica di sempre, proseguiamo a fare la fila alla
biglietteria di questa sala cinematografica, per assistere tra poco ad una
pellicola appena messa in programmazione. Sorrido, in fondo non c'è niente di
cui intimidirsi. "Il canto è la voce dell'anima", dico a lei con voce
ancora più bassa. Qualcuno improvvisamente ride forte dietro di noi, e per un
attimo immagino che ciò sia dovuto alle mie confessioni, anche se poi mi rendo
conto che non c’è alcuna relazione tra le due cose. Con il mio spirito vorrei
mettermi a cantare proprio qui, davanti a tutti, improvvisando senza musica un’aria
che ricordo di più, lasciando a tutti la possibilità di gradire o meno le mie
doti, anche se poi sorrido di nuovo dei miei pensieri assurdi, considerando
comunque che anche questa rimane sempre una possibilità.
Una volta, da bambina, ricordo di aver cantato una
canzone infantile davanti a tutti i parenti e gli amici accorsi al mio settimo compleanno, e di essere stata bene per quei due o tre minuti,
magnificamente. Appena intonata la prima frase, allora si era come dissolta la
nebbia che mi avvolgeva fino ad un attimo prima, ed il resto aveva poi seguito
come per una magia quell’inizio così inaspettato. La timidezza era subito
scomparsa, e le parole intonate mi erano giunte alla bocca una dietro
quell’altra, con gli attacchi giusti, la timbrica definita e anche decisa. Poi
avevo chiuso con destrezza sul finale della canzoncina, ricevendo subito un
sacco di applausi, anche se nessuno della mia famiglia mi aveva incoraggiato in
seguito a prendere lezioni di canto, neppure quando ero diventata più grande, e
lo avevo chiesto espressamente.
“Ci vuole soprattutto personalità”, le fo adesso alla mia
amica. “Tirarsi fuori, mettere il meglio che ci riesce di dare in quelle note,
e poi far trasparire la passione, il trasporto, la gioia, nel fare una cosa del
genere”. La biglietteria di quel cinema prosegue a dispensare biglietti con il
doppio strappo, e tra un attimo è il nostro turno, ormai ci sono soltanto due
persone davanti. Infine noi due paghiamo e poi scorriamo subito su un lato,
presentandoci all’inserviente di turno che ci lascia immettere dentro
la sala, subito di là da una spessa tenda scura. Le poltroncine in file
regolari sono fiocamente illuminate, e lo schermo bianco non mostra in questo
momento alcuna immagine, nell’attesa dell’orario previsto, tra dieci minuti,
per iniziare la proiezione.
Scegliamo il posto e poi ci sediamo, ma subito dopo torno
ad alzarmi in piedi mentre molte persone sono già comodamente sistemate e
parlano quasi tutte tra loro a bassa voce. In quel momento inchinandomi un
attimo dico soltanto alla mia amica: “scusami”; e poi senza altre incertezze
inizio a cantare, un’aria ben nota, e con voce alta a sufficienza, qualcosa che
probabilmente conoscono tutti, spianando la mia piena vocalità in questa grande
sala. Avverto un silenzio profondo nelle pause della canzone, ma non mi fermo,
non tremo, vado avanti decisa, so che questi spettatori riusciranno ad
apprezzare il mio sforzo, questo coraggio che mi è preso stasera, lo stesso che
mi aveva accompagnato quella volta quando ero piccola, a distanza di quarant'anni. Adesso mi guardo attorno con un mezzo sorriso, mi appoggio
con fermezza sulle vocali, le allungo, scandisco al meglio le parole del brano,
e poi canto, continuo a cantare, lascio ascoltare a chiunque la mia canzone;
perché forse è proprio questa la cosa migliore che io abbia mai fatto, mi
rendo conto improvvisamente: quella di essere fino in fondo me stessa.
Bruno Magnolfi
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