“Oggi sto bene”, dice lei mentre l’infermiera entra
dentro la camera per farle la solita iniezione e raccogliere i parametri di
base del suo stato di questa mattina. Sorride, ma non è una grande novità,
visto che anche sotto agli attacchi di dolore più forti riesce a resistere e a
non lamentarsi. “Forse ho soltanto qualcosa che non va dalle parti dello
stomaco”, dice mentre cerca di muoversi nel suo letto attrezzato, facendo
oscillare i tubicini con cui è collegata alle macchine. Fuori dai vetri di
quella stanza la giornata appare radiosa, con un sole caldo ed intenso che fa
venir voglia di fiorire anche le piante che non producono fiori in questa
stagione. La notte è trascorsa in maniera normale, soltanto una volta, quando è
passato il controllo, il collega l’ha trovata in debole aritmia cardiaca, come
se lei in quel momento stesse facendo un brutto sogno, peraltro smentito.
Ci sono numerose operazioni ordinarie da affrontare, come
ogni mattina, dall’igiene del corpo, ai cambi degli aghi e anche dei sensori,
ma il dolore allo stomaco di adesso è un segnale che pur non essendo
fondamentale, non può essere certo trascurato. Così l’infermiera cerca di
indagare più a fondo quale possa esserne il motivo, ma intanto le somministra
un leggero succo di frutta da bere, per rendersi conto se non sia soltanto lo
stomaco vuoto a produrlo. “Va meglio”, dice lei dopo un po’; “e poi il
cortisone mi ha sempre procurato una certa acidità”. L’infermiera sorride, alla
fine ne inizia a sapere di più la paziente che tutte le unità ospedaliere che
le girano attorno; lei risponde al sorriso, le piace che chi le sta
maggiormente vicino si renda conto che non è affatto un’ameba ormai abbandonata
al proprio destino. Anzi, vorrebbe fare ogni giorno un sacco di cose, e spesso
le fa: lèggere, avere notizie, scambiare opinioni con chi sia possibile, e poi
tenere un diario, anche se la maggior parte delle volte si limita a dettare
qualche frase, da scrivere dentro un quaderno, ad uno dei suoi familiari che
vengono fin qui ogni tanto a farle una visita.
Per coloro che amano appuntarsi le cose, anche
un'esperienza sanitaria del genere diventa una fonte importante a cui
attingere. L'infermiera di turno per esempio non la guarda quasi mai in fondo
agli occhi: “forse è troppo impegnata nelle cose da fare per permettersi un
lusso del genere”, pensa lei qualche volta; "e poi non può certo lasciarsi
coinvolgere dal caso umano che ogni volta si ritrova di fronte. Deve essere
neutrale, al disopra dei sentimenti, e la sua professione per forza di cose la
porta ad esaminare ogni corpo che si trova a trattare, come qualsiasi altro,
senza fare mai differenze". Ecco, questo è un buon argomento da annotare
sul suo diario: la contraddizione implicita che sta nel cercare la maggiore
indifferenza verso una qualsiasi persona,
nello stesso esatto momento in cui ci si sta occupando appieno e con dedizione
del medesimo individuo. “Un lavoro difficile il vostro”, le fa lei sorridendo a quell’infermiera mentre cerca di osservarla nel compiere tutte quelle operazioni
indispensabili che il suo mestiere le continua a dettare.
“Che cosa importa adesso tutto questo”, pensa poi lei
mentre prosegue nel suo momento di completo
abbandono alle volontà altrui; “tra non molto passerà il medico di turno, forse
ci sarà anche il primario di questo reparto insieme a qualche tirocinante, e
tutti mi guarderanno, consulteranno la mia cartella, sentenzieranno qualcosa,
ed io comunque resterò perfettamente in silenzio, lasciando con
naturalezza a tutti coloro che mi
ausculteranno il compito alto di decidere qualcosa
della mia vita futura”. Questo è il passaggio maggiormente difficile: quello in
cui ci si abbandona completamente a qualcun altro. “Come l’amore”, pensa lei all’improvviso;
“quando la fiducia nella persona che sei convinta di amare è tale che quasi non
tieni più neppure a te stessa, e lo scioglierti completo in questo sentimento,
di colpo ti fa sentire bene, a posto, magnificamente. Quasi completamente
guarita”.
Bruno Magnolfi
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