"Il controllo delle persone quando arrivano qui è
un'attività della massima importanza", dice la donna attempata al giovane
volontario che risulta da oggi in forze presso quella mensa per i poveri.
"Qualche attaccabrighe mezzo ubriaco lo trovi quasi sempre in mezzo a
tutti gli altri, purtroppo non c'è niente da fare". Il ragazzo la guarda,
annuisce, comprende benissimo cosa ci sia da fare in quei casi; fino adesso
immaginava di doversi occupare di altre cose in quel centro di volontariato, ma
va bene anche così, l'importante per lui è semplicemente sentirsi utile agli
altri. Per questa giornata staranno in due a regolamentare l'afflusso delle
persone, ed anche per fornire le solite informazioni essenziali a chi le
richiede, ma probabilmente già da domani lo metteranno all’entrata principale
da solo. Si tratta anche di tenere a mente diversi dati, specialmente
riguardanti coloro che mostrano l'aspetto più trasandato, e che non si fanno
vedere quasi mai da quelle parti, per cui è necessaria anche una buona memoria
per ricordarsi le facce di coloro che scorrono tra i nastri, ancora prima che
ognuno di questi rilevi il proprio vassoio. "Qua dentro fai la
pacchia", gli dice subito un tipo sorridente che deve essere abitudinario
della mensa e sembra proprio conoscere tutti là dentro. Lui sorride a sua
volta, tradisce un sottile moto di vergogna davanti a quell'umanità in parte
timorosa di tutto, ed in parte già disperata, però sa che deve fare l'abitudine
a qualsiasi situazione, e lo deve fare anche in fretta.
“Ciao amico”, gli dice un altro che mostra con orgoglio
al suo fianco una donna probabilmente straniera, con un’espressione sopra la
faccia di chi ne ha passate di tutti i colori. “Buongiorno”, fa lui alle
persone che stanno già facendo la fila, per poi osservare con maggiore attenzione
coloro che appaiono sfiduciati di tutto, malmessi, quasi abbandonati al loro
destino sin nella maniera di essere. Uno poi sembra parlare da solo, e visto
che resta fermo, senza neanche avviarsi dietro alle altre persone, lui gli si
avvicina, pur con metodo. “Non lo so”, fa quello tra sé, “io non lo so”. Lui
gli pone allora qualche domanda generica, ma quello non dice altro, soltanto
ripete di nuovo la stessa frase. Allora cerca di tirarlo da una parte per
cercare di saperne di più, e quello lo segue, senza opporre alcuna resistenza.
Appare magro, lo sguardo vuoto, il vestiario un disastro, i piedi gonfi dentro
a scarpe sformate e a brandelli. Lui fa un cenno all’altra persona che lo
aiuta, e l’altro si avvicina, dice che non lo conosce, forse non è della zona.
“Se vuoi mangiare puoi metterti seduto ed io ti porto qualcosa”, gli fa lui. Ma
l’uomo risponde ancora nella stessa maniera, di non saperlo, di non sapere
neppure di che cosa abbia bisogno.
Lo accompagnano in qualche modo tutt’e due ad un tavolo, praticamente sorreggendolo, lo fanno sedere, poi gli portano i piatti già pronti, e
l’uomo inizia a spiluzzicare qualcosa, ma senza quella foga che si sarebbe
potuta facilmente immaginare. “Mi dispiace”, dice quell’uomo a un certo punto,
e dopo più niente. Gli si fanno altre domande, si cerca di conoscerne almeno il
nome, la provenienza, di cosa abbia bisogno, ma lui nulla, non spiega niente a
nessuno, continua soltanto a ripetere: “non lo so”. Poi smette del tutto,
allontana leggermente da sé il piatto
ancora quasi pieno,
si guarda per un attimo attorno, e quindi, accostandosi a lui che è rimasto a
seguirne con attenzione i comportamenti, gli fa: "dobbiamo stare attenti. Ci spiano, osservano la nostra condotta, vogliono sapere
qualsiasi cosa di noi, tutto ciò che riguarda chiunque, anche quelli
come noi che non siamo proprio nulla, appena un’inezia; perché in fondo è proprio
vero che se anche cerchiamo di essere ancora persone, di fatto oramai non contiamo
un bel niente".
Bruno
Magnolfi
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