L’agenzia
delle assicurazioni non è molto grande, ed esclusa una sala ampia che tramite
una vetrina opaca si affaccia sulla strada adiacente, per il resto ha soltanto
due uffici sul retro. In tutto sono in quattro i dipendenti a lavorare là
dentro, escluso il dirigente della compagnia che comunque si fa vedere soltanto
per un paio d’ore al massimo ogni settimana. Lei, nonostante vanti la maggiore
anzianità di servizio là dentro, non è mai troppo contenta di quello che fa,
anche se le sue amiche, quando si incontrano dopo la fine dell'orario di
lavoro, le dicono tutte che il suo è un posto d’oro, un mestiere coi fiocchi,
qualcosa di cui andare orgogliosi. A lei invece pare triste occuparsi ogni
giorno delle medesime cose, fingere con la clientela e con i colleghi di essere
sempre felice, sorridere a chiunque le si presenti davanti, e vestirsi ogni
volta in maniera impeccabile, quasi fosse lei la direttrice. Talvolta se la
prende per un attimo con gli altri impiegati dell’agenzia, mostra qualche
scatto di nervosismo di cui in genere subito si pente, e si rende conto di
essere sempre un po’ tesa. Però quello è il suo lavoro, ed almeno per il
momento non può proprio fare niente di diverso.
Poi arriva
questo tizio, mai visto prima d’ora, in sostituzione di una collega ammalata, e
dice con grandi gesti ed in mezzo a tante altre cose, che ognuno deve mostrarsi
agli altri così come si sente. “Non sempre è possibile”, fa lei con un
sorrisetto. La stampante principale continua a produrre gli elenchi aggiornati
che arrivano direttamente dalla direzione della compagnia, e tutti là dentro
sembrano concentrati sul proprio lavoro. “Non si può fingere a lungo”, fa lui;
“ed ogni finzione produce nel tempo un gradino di incomunicabilità”. Lei non
risponde, è abituata ad ingoiare le proprie opinioni, gli altri colleghi se ne
stanno tutti buoni alle loro scrivanie, senza trovare su quell’argomento
qualcosa da dire. Poi loro due vanno a prendersi un caffè in un locale poco
lontano a metà mattinata. Lei dice che forse non ha tutti i torti, lui le
sorride, come sapesse perfettamente cosa sta immaginando. “Certe volte sono
stufa di questo lavoro”, fa lei in uno sfogo di cui subito si pente. Lui si
limita a guardarla, non ha più alcun bisogno neppure di parlarle.
“Non si può
fare della semplice psicologia per inquadrare gli individui”, le dice dopo un
bel po’ subito prima di rientrare. “Però sentirsi fuori posto certe volte è
qualcosa che appare anche troppo evidente”. Lei si sente irritata, non le pare
neanche possibile che arrivi uno qualsiasi a tirar giù dei giudizi sugli altri
senza conoscere un po' meglio le persone. Riprendono le loro attività, lei
naturalmente non ha più alcuna voglia di scambiare una sola parola con l’ultimo
arrivato, ed in questo momento neppure con gli altri. Il lavoro va avanti, le
polizze sono la normalità quotidiana là dentro, inutile fingere, sono loro che mandano
avanti le cose in quell’ambiente.
Poi arriva
una telefonata, ed è lei pronta a rispondere: è il dirigente della loro compagnia
assicurativa che spiega come questa settimana sicuramente non potrà farsi
vedere in agenzia per una serie di impegni importanti. "In ogni caso vi ho
mandato il mio braccio destro", dice senza calcare troppo le parole. Lei
si sente arrossire di rabbia, saluta con cortesia e poi riattacca il telefono
con gesto disperato; infine, dopo aver fatto trascorrere parecchi minuti,
rialza la testa e lo sguardo dalla sua scrivania. Il sostituto è lì, in piena
tranquillità, e quando lei si volta lui le sorride. Scoperta nei suoi pensieri
più intimi, lei cerca di raccogliere tutti i suoi comportamenti maggiormente
professionali, ma le viene quasi da piangere per la superficialità dimostrata.
Lui poi si alza, le va vicino, dice che non ha trovato niente che non vada nel
lavoro che portano avanti in quella agenzia. "Bisogna comunque sapersi
accontentare", le fa adesso con un nuovo sorriso; "in fondo soltanto
permettendo a noi stessi di essere quello che siamo, potremo trovare prima o
dopo un vero equilibrio, anche se questa è soltanto un'opinione qualsiasi, non
certo quella più giusta".
Bruno
Magnolfi
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