Quando infine giunse a salire sopra al vagone
ferroviario, lei si sentì già stanca, nonostante la luce del giorno non si
fosse ancora del tutto diffusa nell'aria fredda della mattina. Era comunque
sufficiente un'ora circa di treno locale per arrivare a destinazione, e lei
confidava di trovare un buon posto caldo e comodo nello scompartimento, dove
riposarsi e magari prendere anche lo slancio di cui aveva bisogno, e che in quella
giornata pareva mancarle. Il suo sonno leggero della scorsa notte, difatti non
le aveva permesso di riposare come avrebbe voluto: troppi pensieri avevano
proseguito a svegliarla più volte e a circolarle a lungo dentro la testa per
riuscire a concederle di dormire bene come avrebbe desiderato. Ma in fondo
tutto questo adesso non aveva alcuna importanza, perché lei, mentre il treno
già ripartiva dalla piccola stazione del suo paese, una volta seduta accanto ad
un finestrino da dove avrebbe potuto osservare pur senza grande interesse il
semplice panorama ordinario di quella provincia, si sentiva capace di darsi la
spinta di cui c’era bisogno, nel concentrarsi pienamente su quanto era richiesto
da lei, e riprendere così, insieme alla sua determinazione, anche il fiato, l’energia,
il coraggio, la fiducia in se stessa, proprio per essere pronta ad affrontare
al meglio anche quella giornata.
Dal letto dell’ospedale il bambino era già stato
svegliato per la colazione, insieme a tutti gli altri, più grandi e più
piccoli, che affollavano quel grande reparto, e se qualcuno di loro era rimasto
provvisoriamente a digiuno, era soltanto perché era previsto che l’infermiera
gli facesse un prelievo di sangue, sempre antipatico e purtroppo non
rinviabile, come tutte le cose organizzate da una volontà non propria,
provocando comunque nei ragazzetti di turno una evidente piccola sofferenza, a
volte quasi una vera tortura, almeno per alcuni. Diversi di loro nella camerata
già parlavano a voce più alta, come cercando dall’attenzione degli altri un
sollievo alla costrizione di essere ancora in un letto di tutti, senza gli
oggetti ed i giochi della loro abitazione, senza l’ambiente per loro più
abituale, e soprattutto senza le loro mamme ed i loro papà lì vicino. Tutti
sapevano che era più tardi l’orario del passo ospedaliero, a fine mattinata, e
per questo motivo, ed in funzione proprio di quello, cercavano di distrarsi e resistere,
come per essere pronti ad aspirare tutta la felicità di quel prossimo attimo
magico.
Lei rifletteva: certe volte dei pensieri pessimistici le
transitavano improvvisi dentro la mente, ma quasi sempre riusciva a ricacciarli
subito indietro, concentrandosi piuttosto sulle terapie da affrontare, i medici
che doveva consultare, le cose importanti di cui soprattutto doveva ricordarsi.
Però non era facile tenere insieme
la famiglia in una situazione del genere, ed anche se le era stato concesso un
periodo di aspettativa al lavoro, a lei sembrava che il tempo per occuparsi di
tutto le mancasse continuamente, tanto da sentirsi ogni giorno più stanca,
spossata, priva di qualsiasi energia. Poi si scrollava rapidamente di dosso
quelle sensazioni negative, e subito ricominciava ad occuparsi dei suoi familiari,
senza mai mostrare a loro la sua sofferenza, il proprio disagio, a volte anche il
dolore. Infine, carica di questi pensieri, era giunta lì, in ospedale, come
ogni giorno, in attesa dell’orario giusto per poter essere ammessa in reparto.
E per un attimo si sentì quasi svenire, tanto da doversi sorreggere ad una
parete: era vicino il suo limite, lo sapeva benissimo. Dopo un attimo però si
riprese, così assunse subito il suo sorriso migliore, e poi infine entrò, radiosa
come una mamma, per il suo bambino.
Bruno
Magnolfi
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