Non
c’era molta strada da fare, in paese lo sapevano tutti: bastare prendere uno
stretto viottolo e in poco più di mezz’ora si arrivava fino all’orlo del
precipizio. Le rocce in quel punto apparivano sedimentarie, erose dal tempo, la
vegetazione attorno lasciava tutto lo spazio a quell’enorme spaccatura in mezzo
alla terra, e si rimaneva lì, a bocca aperta, a contemplare il fiumiciattolo
che scorreva tra le pietre giù in fondo.
Era
affascinante quel luogo, ma nessuna strada arrivava da quelle parti: non c’era
mai stato interesse da parte di alcuno per farne un luogo turistico, o un posto
comunque da visitare; al contrario, si dava per scontato che fosse pericoloso
avventurarsi da quelle parti, e insomma che non ci fosse alcun valore nel
visionarie quelle rocce: era soltanto una fenditura profonda nel suolo, si
pensava, che andava avanti per dei chilometri, senza nessuna positività.
Era
come se nella testa di tutti ci fosse qualcosa di strano, di diverso dalla logica:
non si parlava quasi mai di quel posto dove qualcuno si avventurava ma solo in
casi particolari, però la gente sapeva cosa c’era laggiù, conosceva bene quella
rupe al margine delle colline a chiudere il passo, a tagliare in due quello
spazio, come se intuisse perfettamente che iniziava un mondo diverso oltre quel
precipizio, ed era bene evitarlo, come le cose dannose. Ma forse era soltanto
una credenza, una di quelle dicerie di paese, qualcosa di cui certe volte si
bisbigliava, ma soltanto in occasioni particolari.
Le
cose cambiarono solo per caso, un giorno qualsiasi, quando un ragazzo del
paese, da solo, arrivò fino lì portandosi dietro la tromba che da qualche mese
stava studiando. Il luogo era perfetto per suonare senza preoccuparsi di dare
fastidio, da quelle parti non c’era nessuno, e l’eco che usciva fuori dal
precipizio dava un tocco meraviglioso ad ogni nota. Ma qualcun altro aveva
sentito quei suoni, dalla parte opposta della spaccatura, e si era affacciato
alle rocce dalla parte di là, ad osservare e ad ascoltare il ragazzo e quel suo
strumento.
Si
erano guardati, lui e quella persona, pur nella lontananza dello spazio aperto,
poi il ragazzo aveva ripreso a suonare, e quello si era seduto sopra una pietra
per ascoltarlo. La cosa si era ripetuta il pomeriggio seguente, e così ancora,
fino a quando qualcun altro era andato ad ascoltare quelle note lunghe e
lamentose che si perdevano nell’asprezza di tutte le rocce. Il ragazzo si era
sentito importante, aveva iniziato poco per volta a modulare delle melodie
particolari, qualcosa nato quasi in funzione di quel luogo, e tutte le persone
che oramai arrivavano fin lì, nelle settimane a seguire, ognuno per suo conto,
proprio per ascoltarlo, sembravano rapite da quei suoni, come da elementi
magici che per straordinaria virtù riuscivano a riempire di bellezza tutta
quella gola sassosa.
Le
cose andarono avanti per un certo tempo, ma senza che nessuno in paese sentisse
la voglia di parlarne: era come se tutti coloro che arrivavano là, lo facessero
sempre un po’ di nascosto, mimetizzandosi tra gli alberi e i cespugli vicini,
restando separati, a volte anche ognuno dall’altro. Quando immobilizzarono il
ragazzo mentre era intento a suonare, lo fecero solo in due o in tre, prendendolo
da dietro, senza che lui potesse riuscire a capire chi fosse a strappargli di
mano la tromba. E quando la vide volare giù dalla rupe, gli parve impossibile,
come se non riuscisse a trovare nei suoi concittadini un solo motivo per un
gesto del genere. Eppure, quando tornò disperato in paese, nessuno spese per
lui una parola di solidarietà o di conforto: certe cose andavano prese così,
sembrava dicessero tutti, inutile opporsi.
Bruno
Magnolfi
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