Che importa
ciò che avviene, quello che ci circonda, tutta questa confusione di gesti, di
saluti spesso inutili, di ammiccamenti senza risultato. Si finge soddisfazione
di cose piccole, spesso senza alcun significato, e ci si trattiene per evitare
scontri stupidi, per limitare discussioni che non porterebbero nulla di
positivo. La realtà, la maggior parte delle volte, procede tranquilla per
proprio conto, senza avere ostacoli, come se nessuno sforzo fosse sufficiente a
contenerla.
Arnaldo
rientra in casa un pomeriggio qualsiasi, dopo una giornata di lavoro
esattamente identica ad ogni altra, sale le scale, gira la chiave nella porta
del suo appartamento, e improvvisamente, proprio entrando, sente di essere una
persona che non conta niente, un individuo qualunque stritolato dentro un
ingranaggio. Prende una birra dal suo frigorifero, butta giù uno o due sorsi, e
immagina altre cento persone identiche a lui che nello stesso attimo sono
tornate a casa dopo il lavoro, e stanno identicamente bevendosi una birra.
Arnaldo
si siede, cerca di pensare qualcosa di ottimistico, ma il senso di vuoto lo
abbatte anche di più. Suona il telefono, risponde. Lo aspettano al solito
locale, una partita a carte, due risate, qualche scherzo per ridere, per
ingannare il tempo, poi via, una corsa in macchina, a cercare qualche cosa che
riempia il vuoto, allontani ogni malessere, sollevi quel morale pericolosamente
su una china. Prende tempo, ha qualcosa di cui occuparsi, dice, forse solo più
tardi può raggiungere gli altri. Guarda la serata dalla sua finestra, ma non
trova alcun luogo dentro la sua mente per difendersi.
Esce
senza cambiarsi, le mani in tasca, lo sguardo perso tra le automobili in
colonna, il passo regolare lungo il marciapiede. Non c’è alcun luogo dove
andare, Arnaldo lo sa bene, lascia che la sera affondi attorno a sé, coprendo
le sue spalle a poco a poco con il buio che scende e lo lascia stupefatto. Si
ferma davanti ad un negozio, osserva le persone all’interno che acquistano le
cose, immagina tutto sempre più opaco, senza valore, quasi una finzione scenica
per riempire il maledetto vuoto che sente e che vede attorno a sé.
Si
siede sul gradino di un portone, si stringe dentro la sua giacca, torna ad
osservare le persone che si muovono su e giù lungo la strada: un lampione là
vicino getta una chiazza di luce sull’asfalto, ormai la sera ha completato il
suo percorso, pensa, le luci sono tutte accese, la giornata arranca per andare
a completarsi. Avrebbe voglia di parlare con qualcuno, chiedergli perché le
cose siano proprio così, piene di amarezza, poi vede un uomo dalla parte
opposta della strada; sta seduto su un gradino, come lui, lo sguardo perso tra
le auto e i passanti.
Non
c’è senso in tutto questo, pensa Arnaldo, poi si alza, vorrebbe riprendere a
camminare, perché adesso prova pena per quella persona seduta là di fronte a
lui, gli pare sola, un povero cristo che ha smarrito il senso: così, con calma,
attraversa la strada, lo raggiunge, gli tocca una spalla, quello si volta, lo
guarda, avrà i miei anni, pensa Arnaldo: vieni, gli dice con fare amichevole,
ti offro una birra.
Bruno
Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento