Certe
volte le cose sono proprio complicate. Esci di casa, vai nei soliti posti di
sempre, e tutti sembrano quasi ignorarti, come se non avessero tempo per te,
per star dietro alle tue stupidaggini. Così abbassi lo sguardo, non dici niente
a nessuno, ti chiudi in te stesso lasciando che gli altri facciano pure quello
che vogliono. Poi inizi a pensare che le parole non dicono niente, per questo è
poco importante parlare, forse hanno proprio ragione tutti quanti, tanto vale
mettersi lì e non pensare più a niente, come se non ci fosse niente che ne
valesse la pena.
Torno
a casa e mia moglie mi guarda, come se avessi fatto qualcosa di male, o se
fossi un qualsiasi buonannulla come questi ubriaconi che passano il giorno nel
bar qua vicino. Mi piazzo in un angolo, accendo la televisione, tanto per fare
qualcosa, e lì mi distendo, lascio che tutto vada un po’ per suo conto, che in
fondo non ho neanche voglia di capirne qualcosa.
Dice
mie moglie che mi hanno cercato al telefono, qualcuno voleva sapere dove io
fossi, quando tornavo, che cosa avessi in programma, tutte cose del genere. A
chi possono interessare quei fatti miei, mi chiedo, tutti quanti si sono
richiusi in se stessi, nessuno ha più niente da dire, e poi trovi gente che
telefona e vuole sapere dove mi trovo, cosa penso, cosa sto facendo; così torno
a uscire di casa, vado al bar a vedere se l’atmosfera è cambiata, se c’è
qualcosa che non sono riuscito a capire.
Un
amico anche lì mi dice che mi hanno cercato, due tizi mai visti hanno chiesto
di me, delle mie abitudini, quali fossero gli orari dei miei spostamenti.
Naturalmente non è stato spifferato un bel niente, ma la faccenda non è affatto
chiara, io mi sento braccato, anche se non capisco quale motivo ci sia per
darmi la caccia. Così inizio a indossare un cappello, un vecchio berretto che
tengo in casa da anni, tanto per coprirmi la faccia, lo sguardo, per rendermi
meno riconoscibile. Mi guardo attorno per strada, mi sembra che tutti mi
osservino, scrutino ogni mia minima espressione, come se all’improvviso fosse
diventato importante capire cosa io pensi, dove vada, quali siano le mie idee.
Non
capisco per niente cosa sia tutta questa faccenda, lo dico a un amico che sta
seduto lì accanto nel bar; ma lui mi guarda in modo curioso, non risponde un
bel niente, scuote la testa e poi se ne va. Anche mia moglie non sembra la
stessa, fa le cose di sempre, si comporta nella stessa maniera, ma fa tutto in
modo più strano, quasi come se io fossi un estraneo. Oscillo da un posto a
quell’altro, senza quasi fermarmi, nei luoghi di sempre, salutando le stesse
persone che conosco da anni, eppure tutto sembra diverso, anche se non ne
capisco il motivo. In poche ore mi pare di avere la febbre, di vedere tutto
distorto.
Infine due
uomini con la cravatta mi fermano in mezzo alla strada, sono gentili, mi
parlano di qualcosa, mi chiedono di togliere per un po’ il mio cappello, mi
guardano, conoscono bene il mio nome, chi io sia, ma io non li ho mai visti
prima. Dicono che sono degli inviati, roba statale, investiti di piena
ufficialità; forse, penso io, spediti qui dal governo, vogliono solo capire di
più dei miei comportamenti: sembra che io sia la persona perfetta da studiare, dicono
loro, l’uomo campione che pensa le medesime cose che pensano tutti, così sono
un soggetto importante, uno tramite il quale si riesce a capire cosa pensano
gli altri.
Non possono
darmi dei soldi, non possono neppure pagarmi un caffè, perché in questo modo
cambierei forse qualche opinione, e invece devo solo dire a loro quello che
penso, tutto ciò che mi passa dentro la testa, senza lasciarmi influenzare da
nulla. Questa è la cosa più strana che mi sia mai successa, penso, così mi
metto lì, buono buono, e rispondo a tutti quei loro questionari infiniti. Al
termine mi dicono che sono stato bravo, paziente, devo essere più che
orgoglioso di quello che ho fatto, perché in questo modo ho dato una mano alla
nazione.
Poi mi
salutano, se ne vanno così, come sono arrivati, io mi rimetto il cappello, li
guardo andar via, e vado subito a infilarmi nel bar: stasera ho proprio voglia
di alzare un po’ il gomito, penso tra me, tanto la vita è uno schifo, persino in
misura maggiore di ciò che si immagina.
Bruno Magnolfi
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