Lo so, lo so
bene che la mia vita è priva di consapevolezza, e che io sono sempre stato
così, forse senza prospettive, magari persino senza idee. Eppure ho sempre
continuato a mandare avanti le mie giornate, una dietro l’altra, e la maggior
parte delle volte sono stato capace di evitare il pensiero che non stessi
facendo niente, niente di buono intendo. Ho parlato con qualcuno, in qualche
caso, ho scambiato la mia visione delle cose, mi sono sempre trovato d’accordo
con chi avevo di fronte, ho sempre detto che avevano ragione, giusto per andare
in sintonia, ed ho tirato avanti, senza stare troppo a preoccuparmi.
Perché mai
avrei dovuto pensare che le cose fossero diverse da come me le ero immaginate;
perché avrei dovuto perdere tempo a riflettere su quanto mi rimaneva più
distante, sugli aspetti a me più ostici, meno interessanti? Ho lasciato ad
altri certe preoccupazioni, io ho semplicemente mandato avanti il mio lavoro, i
miei svaghi, le mie innocue, semplici attività. Certamente mi sono guardato
attorno, almeno qualche volta, ho osservato gli altri per capire cosa stesse
succedendo, mi sono interrogato, certo, ma solo in qualche caso, quando c’era da
prendere qualche decisione, per esempio, poi non ho fatto nient’altro.
Mi hanno
attaccato in fabbrica, hanno detto che io sono immaturo socialmente; ma cosa
vuol dire tutto questo, io guardo la mia busta paga, è soltanto quella la mia
preoccupazione, poi esco dal mio posto di lavoro e vado a sedermi nel solito
bar, giusto per scherzare un po’ con i ragazzi. Ma all’improvviso sembra che
nessuno abbia più voglia di parlare insieme a me, pare che io non sia più alla
loro altezza, che non sia neppure capace di bere una birra in compagnia. Così
mi guardo attorno, inizio a interrogarmi, cerco di pensare alle cose delle
quali tutti gli altri sembrano assolutamente preoccupati.
Torno a casa,
penso che la vita sia uno schifo, non c’è niente che valga la pena di
impegnarsi nelle cose di ogni giorno, così mi siedo sopra al solito divano e
bevo qualcosa, senza stare neppure a rimuginarci troppo. Poi suona il telefono,
alzo la cornetta, qualcuno dice con voce camuffata che sono un gran bastardo,
poi riattacca. Mi hanno isolato, penso, hanno fatto terra bruciata intorno a
me, solo perché a me non interessa niente delle loro lotte, del rinnovo del
contratto e cose di quel genere. Non lo so, mi pare di essermi sempre
preoccupato solo dei fatti miei, non capisco dove stia l’errore. Mi dico che
domani non andrò neppure a lavorare, ma poi invece ci vado, voglio vedere come
andrà a finire.
Arrivo ai
cancelli e qualcuno è lì, pare quasi che mi stia aspettando. Non dicono niente,
mi guardano, si vede che non si fidano di me. Così anche io guardo gli altri,
come se volessi far vedere che ho bene le mie idee, che so perfettamente come
devo comportarmi. Quindi entro in fabbrica, senza tentennamenti, vado diritto
dal mio capo del personale e gli racconto tutto quanto quello che succede. Lui
mi guarda, annota qualche cosa sopra un foglio, poi si alza, con calma, quindi torna
a guardarmi, poi dice soltanto: dalla prossima settimana parte la cassa
integrazione, per un terzo di tutti i dipendenti; ci sei anche tu nel numero.
Bruno Magnolfi
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