Si doveva
partire, chissà poi perché, anche se sembrava del tutto inevitabile. Ci eravamo
riuniti in quell’appartamento, in attesa della notte, quando il momento sarebbe
stato più propizio. Si scherzava, si diceva con convinzione che la nostra
partenza sarebbe stata l’inizio di tutto quanto il resto, senza sapere con
precisione quale domani avremmo dovuto attenderci, ma forse solo per mostrarci
fiduciosi sulla nostra capacità di affrontare il futuro. Tutti quanti si
occupavano di qualcosa, scontrandosi avanti e indietro nella febbrile
preparazione dei bagagli, io invece mi sentivo stanco, per questo mi ero
sdraiato su un divano, e mentre intorno tutti parevano nervosi, tutti presi dai
preparativi, al contrario in me era come scesa una completa calma, una perfetta
indifferenza verso ciò che sarebbe potuto accadere.
Qualcuno poi
mi aveva toccato un braccio, mi aveva scosso, aveva richiesto la mia
attenzione, giusto per dirmi che eravamo pronti, che tutto era stato ormai sistemato.
Così mi ero tirato su, avevo osservato gli altri, mi ero reso conto che
dovevamo abbandonare tutto, ormai niente ci teneva ancora attaccati a quel
nostro passato. Eppure, mi pareva che una riflessione finale fosse importante,
come se si dovesse riassumere un ricordo in pochi pensieri, forse soltanto in
uno sguardo, e condensare in un gesto superiore, come era quello di andar via, ciò
che fino a quella sera era stato importante per noi tutti.
Così guardai
le borse, gli zaini, le valigie, tutti i bagagli pronti che avremmo portato con
noi, come fosse fondamentale traghettare, da ieri fino a domani, qualcosa di
riconoscibile, di familiare, di consueto. Si capivano i vestiti pesanti, per
affrontare le notti fredde, gli oggetti a cui eravamo legati, quelli che ci
sarebbero potuti tornare utili, e ancora le fotografie che ci ricordavano
qualcuno, e i libri, che ci mostravano ancora le radici, e i nostri documenti,
che ci consentivano, almeno per un po’ di tempo, di sapere chi noi fossimo.
Passeggiai a
lungo per le stanze, osservai tutto, mi soffermai sui mobili vuoti, sugli
scaffali liberi, i letti inutili. Provai una tristezza indicibile, mi parve in
un lampo che non saremmo più tornati, nessuno di noi sarebbe sopravvissuto a
quegli oggetti, e mi sentii sul punto di abbandonare ogni proposito. Poi
qualcuno mi mise una mano su una spalla, senza dire niente, solo mostrando
quanto ognuno di noi fosse costernato in quella fase.
Lasciai
perdere ogni nostalgia, c’era qualcosa di estremamente più importante che
attendeva il nostro impegno, così radunai tutti nell’ingresso, ci guardammo
ancora per un attimo, come scambiandoci la consapevolezza di quanto, da quel
momento in avanti, c’era da affrontare; poi iniziammo a caricare tutti i nostri
bagagli. Non ci sarebbe stato niente di male, pensavo, se qualcuno in quel
momento si fosse sentito privo di coraggio, avesse detto agli altri, magari tra
le lacrime, che non se la sentiva proprio, che quel viaggio non era fatto per
lui, anche se ne era profondamente dispiaciuto. Invece a nessuno passò per la
testa un’idea di quel genere.
Infine
abbandonammo l’appartamento, e con lui tutte le nostre certezze, e quando, ormai
nel pieno del destino che si concretizzava davanti ai nostri sguardi, pensammo
che orami sarebbe stato impossibile anche solo tentare di tornare indietro, ci
sentimmo orgogliosi, convinti delle nostre forze e delle convinzioni che
avevamo messo in campo: così doveva essere, e così stava manifestandosi la
nostra volontà, forse oltre ciò che ogni buon senso avrebbe chiesto.
Bruno Magnolfi
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