Quasi
in fondo al viale alberato, che iniziava dalla piazza rotonda con in mezzo una
larga vasca con la fontana, c’era il liceo, e la corriera vi si era fermata con
un leggero stridore dei freni, lasciando scendere dalla porta pneumatica sette
o otto ragazzi coi loro pesanti zaini dei libri. Il mezzo pubblico arrivava
come ogni giorno da alcuni piccoli paesi vicino, impiegava una buona mezz’ora
per arrivare fin lì, e altrettanto per tornarsene indietro all’orario dell’uscita
da scuola.
L’ultima
campanella prima dell’inizio delle lezioni suonava esattamente alle otto e
trenta, mancavano soltanto dieci minuti, Marco si era mosso svogliatamente una
volta sceso sul marciapiede, aveva lasciato che la corriera alle sue spalle
fosse sparita velocemente dietro la curva, poi si era soffermato a guardare i
compagni che allungavano il passo per raggiungere in tempo l’edificio
scolastico.
Che
senso aveva andare con loro, pensava Marco, raggiungerli magari, arrivare
trafelato nell’aula come ogni giorno, conservando soltanto quel lieve amaro
sapore che toglieva qualsiasi curiosità, che non dava alcuna soddisfazione,
aveva solo quel senso antipatico delle cose pianificate e previste? In un
attimo i ragazzi erano già più distanti, lui camminava lentamente, li
osservava, cercava con concentrazione di pensare qualcosa di positivo, ma senza
alcun risultato.
Poi
prese la prima piccola strada che portava da qualche parte diversa, un posto
qualsiasi, con passo lento, le mani sprofondate dentro le tasche, riflettendo
qualcosa, interpretando un pensiero all’improvviso estremamente importante, che
mostrava un segno discriminante tra il prima ed il dopo. Non sapeva di preciso
verso dove dirigersi, ma adesso si sentiva convinto che doveva camminare,
muoversi, cercare qualcosa che non riusciva neppure a immaginare cosa fosse.
La
città si snodava in maniera probabilmente normale tra le strade che si
assomigliavano e il traffico della gente che si proiettava verso qualcosa:
Marco era perplesso, osservava le auto, le case, le persone, come se tutto
quanto girasse dentro a una giostra che riusciva a vedere solamente quel
giorno, come se fosse la sua prima volta. Più in fretta di quanto avrebbe
voluto arrivò a percorrere il corso, la strada pedonale dove stavano aprendo i
negozi. Si soffermò davanti a qualche vetrina, raggiunse la piazza centrale,
poi, all’improvviso, si sentì completamente perduto.
Entrò
dentro a un bar, si sedette su una sedia di plastica, si fece dare un cornetto,
un bicchiere con un’aranciata, infine osservò fuori dai vetri. Non c’era alcun
ruolo nel suo essere lì, senza far niente; eppure qualcosa lo tormentava, era
come una ricerca la sua, il tentativo di trovare un’identità personale. Uscì da
lì per girovagare lungo le strade durante tutta la mattinata, e quando infine Marco
tornò nella piazza della fontana per salire sulla corriera, guardò i suoi
compagni usciti da scuola, li vide diversi, e improvvisamente seppe cosa stava
cercando: ho compiuto un percorso, pensò, domani posso tornare al liceo.
Si
sedette su uno dei sedili, sistemò il suo zaino dei libri, infine lascò che il
paesaggio cullasse il suo sguardo, scorrendo come in un film fuori dai
finestrini. Si devono affrontare i propri dubbi, pensò; si devono scoprire i
motivi che muovono tutte le cose, solo quando si diventa consapevoli di quello
che siamo e di ciò che stiamo facendo si può mostrarsi sereni, convinti di
avere un futuro davanti, una prospettiva di cui sappiamo almeno qualcosa che ne
valga la pena.
Bruno
Magnolfi
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