Evaristo
Gennai, aveva detto una voce per me sconosciuta di là dalla soglia di casa;
apra la porta. Sull’immediato, colpito dal tono e da quelle parole, ero rimasto
fermo e in silenzio, come per fingere di non trovarmi neppure nel mio
appartamento, ma poi, riflettuto che non avevo fatto mai niente per cui temere
qualcosa, mi ero alzato lentamente dalla mia sedia e avevo raggiunto con calma
il piccolo ingresso, dove avevo risposto, pur con voce poco marcata: chi lo
desidera?
Ho
bisogno di lei, aveva insistito l’uomo fuori dalla porta ancora ben chiusa,
senza che questa sua frase spiegasse un bel niente circa il motivo per cui io
avrei dovuto ascoltarlo o magari farlo entrare nella mia casa. Così avevo
pensato di porre una nuova domanda più circostanziata a proposito dei motivi
che avevano portato quella persona fin lì a disturbarmi, ma all’improvviso, con
determinazione, chiesi soltanto: e che cosa vuole da lui?, mostrando in questa
maniera che non ero disposto a lasciarmi intimorire da un qualsiasi
sconosciuto.
Ho
da farle vedere qualcosa, disse quell’altro, sempre che lei sia davvero Evaristo
Gennai, e non qualcun altro. Io sul momento ebbi un dubbio: sul mio campanello,
che peraltro il tizio lì fuori non aveva suonato, c’era riportato con una certa
chiarezza il mio nome, e a meno che si sospettasse abitassero in quella casa altre
persone, era difficile pensare che io non fossi il vero Evaristo Gennai. Ciò
nonostante dissi in fretta: abita qui Evaristo Gennai, ma non credo che lui la
conosca, e tutto sommato immagino che potrebbe benissimo fare a meno della sua
conoscenza. Non gli pare di aver bisogno di niente, tantomeno di qualcuno che
viene a importunarlo con questa maniere per qualcosa di cui probabilmente non
gli interessa un bel nulla.
Comunque,
avevo ripreso dopo una pausa, se ha qualcosa da dire, la dica adesso e anche in
fretta, e sia convincente fino al punto da farsi aprire la porta, perché in
caso contrario il tempo a sua disposizione è finito, e questa porta non verrà
neppure socchiusa. Mi ritenni immediatamente soddisfatto della mia tirata, e
con questo immaginai immediatamente che l’altro, così com’era arrivato fino su
quel pianerottolo, se ne sarebbe andato senza aggiungere altro, e quindi tornai
nella mia stanza per riprendere il posto a sedere che avevo all’inizio. Sentii
scartocciare qualcosa, quindi la persona che stava là fuori si decise a premere
brevemente il mio campanello. Troppo tardi, pensai, ormai la frittata è già
fatta, così non mi mossi minimamente da dove mi trovavo. Infine non sentii più
alcun rumore proveniente dal pianerottolo, e così mi preoccupai di altre cose, per
finire col mettermi a rileggere un articolo su una vecchia rivista.
Trascorse
del tempo, e probabilmente dopo almeno un’ora abbondante, sentii il bisogno di
uscire a prendere aria. Indossai con tranquillità la mia giacca, presi le
chiavi di casa e mi incamminai, scendendo con attenzione le due rampe di scale
del piccolo condominio in cui abitavo da sempre, raggiungendo subito il
marciapiede e la strada. E’ lei Evaristo Gennai?, chiese un uomo che non avevo
mai visto, mentre rimaneva fermo lì accanto. Io lo osservai, riconobbi in lui
la voce di prima, ebbi quasi un sussulto, ma ciò nonostante tenni ancora la mia
posizione: no, mi dispiace, dissi; non lo conosco neppure; e con ciò me ne
andai.
Bruno
Magnolfi
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