Mi parve che tutto cambiasse, in
quei giorni confusi, persino da un attimo all’altro. Mio fratello appariva già
notevolmente assente nei confronti della nostra famiglia, ma la grave ed
improvvisa malattia di nostra madre dette una specie di mazzata definitiva ai
nostri reciproci tentennamenti circa le strade da prendere nel futuro. Io ero
più grande di Antonio, svolgevo già un lavoro di dipendente come ragioniera, e
frequentavo un fidanzato con cui uscivo ogni tanto, in maniera comunque non
troppo assidua. Ciò che io e mia madre fino a quel momento avevamo preso scarsamente
in considerazione invece, e cioè quella personalità chiusa e contemporaneamente
strampalata di mio fratello, divenne nell’arco di quel breve lasso di tempo la
nostra più grande preoccupazione. Lei fu ricoverata in ospedale, ed iniziò una
serie lunghissima di fasi alterne durante le quali pareva proporci, con il suo
stato di salute, delle piccole speranze che venivano presto ed ogni volta
spazzate via dalla realtà dei fatti. Antonio intanto appariva quasi
indifferente a tutto questo, o meglio, con un probabile grande sforzo su sé
stesso, riusciva a mostrare un atteggiamento quasi distaccato dalla sofferenza
altrui, anche se riuscivamo facilmente ad immaginarne la propria falsità di
fondo. La mamma, sdraiata nel suo letto, mi disse, mentre lui non c’era, che la
sua più forte preoccupazione era che il suo figlio maschio trovasse in qualche
modo una collocazione stabile. <<Dovrai pensarci tu>>, disse con un
fiato, senza troppo guardarmi, ed io annuii, anche se replicai subito che le
mie speranze e quelle di tutti erano riposte naturalmente nella sua guarigione
da quella brutta malattia, e che certi discorsi apparivano quindi del tutto
prematuri.
Se Toni comunque in quel periodo era
apparso un ragazzo un po' strano, da quei momenti in avanti lo fu ancora di
più: smise del tutto, dopo aver saltato interi periodi, di frequentare la
scuola dove era stato iscritto dalla mamma, ed i suoi orari di uscita da casa
iniziarono ad essere i più imprevedibili, tanto da alzarsi dal letto durante la
notte, certe volte, e sgattaiolare fuori per chissà dove, forse lungo le strade
deserte del nostro paese, fino quasi al mattino. Inutili con lui i rimproveri o
le preghiere: Antonio pareva posseduto da una volontà che non riusciva neppure
lui a controllare, e ogni occasione pareva buona per stupirci con i suoi incomprensibili
comportamenti. La mamma, avvertita da me della sua condotta inusuale, provò più
di una volta a parlargli, spiegando con un filo di voce che la situazione
richiedeva pazienza da parte di tutti, e che c’era la necessità nella nostra
famiglia di darci un minimo di regole per conservare una certa integrità, ma
lui sembrava perennemente attratto da qualcos’altro, al punto da non ascoltare
nessuno, e quindi neppure nostra madre. Naturalmente proseguiva a leggere i
libri che trovava presso la biblioteca pubblica, e solo quelli in qualche
maniera parevano dettargli pensieri e comportamenti adeguati al momento.
La mamma poi si spense in un giorno
qualsiasi, in ospedale, durante una chemio, dopo che erano trascorsi quasi due
anni, senza che ci fossimo troppo accorti che s’era verificato un certo peggioramento
delle sue condizioni. I medici ci avevano già avvertito che non si sarebbe
verificato un miracolo, e che le cure degli ultimi tempi erano state ridotte
soltanto a dei forti antidolorifici e ad alcuni palliativi. Ugualmente a me
parve di perdere tutto assieme lei, e quando ci fu il funerale dalla forte
emozione che provai ebbi uno svenimento da cui mi ripresi soltanto mezz’ora più
tardi. Antonio rimase in silenzio, come assente. Osservò ogni gesto di ciò che
veniva compiuto, fino alla chiusura della cassa ed al seppellimento; quindi, si
allontanò da tutti, e dal cimitero tornò a casa da solo. Il mio fidanzato fu
molto presente in quei momenti, e fu capace persino di confortarmi in qualche
modo, e nel giro di poche settimane, anche per superare il momento, iniziammo a
parlare di matrimonio e di trasferirci, io e mio fratello, nella sua casa piuttosto
spaziosa e con una stanzetta adatta ad Antonio.
Antonio non si oppose, anche se
chiese di avere con sé tutti i libri della vecchia casa, chiudendoli lui stesso
in scatoloni di cartone per trasferirli senza rovinarli. Ma subito dopo iniziò
a dare segni di vero squilibrio, tanto da non concedere molta sicurezza per sé
stesso e per gli altri. Urlava, parlava da solo, si chiudeva per intere
giornate in un profondo silenzio, e quando riemergeva dal suo stato pareva spossato
ed indifferente a chi gli stava attorno. Il nostro medico prese delle rapide
informazioni, e dopo poco fu internato in una clinica piuttosto distante, dove
curavano i gravi stati di depressione delle persone come lui, e per un po’ di
tempo parve che le cose potessero migliorare, anche se alcuni gesti inconsulti nei
confronti di altri pazienti mostrarono l’impossibilità di poterlo riavere nella
nostra famiglia in tempi troppo rapidi. Il periodo di degenza, perciò, si
allungò sempre di più, fino a quando Antonio parve finalmente trovare un
proprio calmo equilibrio.
Bruno Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento