Quando sono
in mezzo a questo campo di calcio sto bene. In certi momenti mi sento libero,
anche se come sempre mi sento ancora solo; invece, in altri momenti, so che è
soltanto con questi ragazzi che stanno giocando insieme a me che posso fare
qualcosa di importante per la nostra squadra, in sintonia con loro. Mi chiamano
Nicco, quasi tutti, almeno quando devono attirare la mia attenzione per
passarmi una palla importante, ma quando poi torniamo negli spogliatoi allora
non mi chiamano affatto. Soltanto l’allenatore si rivolge a me quando ci
alleniamo o stiamo seduti a riflettere sul gioco, ed io mi lascio dire tutto
quello che serve, senza ribattere nulla, cercando sempre di accontentarlo. In
officina è diverso: quello che faccio deriva soltanto dalle mie mani, non devo
svolgere un ruolo di squadra, compio ogni operazione sempre da solo, anche se
mi sento spalleggiato da Aldo Ferretti, il mio capo. Forse è per questo che il Sindaco
di questo borgo ha compreso che io avevo bisogno di fare qualcosa insieme agli
altri della mia stessa età: per smettere di sentirmi in solitudine, per aprirmi
con i ragazzi, per svolgere qualcosa per cui bisogna sentirsi necessari, però
tutti assieme, perché si vince o si perde una partita, oppure un torneo, o un
girone, con tutto il gruppo, ed ognuno è chiamato a svolgere il suo ruolo sempre
in funzione degli altri, quasi come le dita di una nostra mano. Sto imparando
poco per volta tutto questo, e mi pare una cosa estremamente importante.
Poi arriva
questo tizio. Gli altri lo prendono in giro, dicono di lui che è tutto matto. A
me non sembra, ma non sono certo nella condizione di preoccuparmi per uno così,
penso. Ma lui mi viene vicino, mi guarda, non dice nulla, però si vede che ha
delle opinioni che gli girano dentro la testa, così non dico niente, abbasso lo
sguardo, aspetto che qualcosa succeda. Gli altri ragazzi dopo l’allenamento
hanno voglia di divertirsi, così iniziano a dire a voce alta che lui è Toni
Boi, e a ridere forte, come se ci fosse qualcosa da ridere in questa
situazione. Lui non guarda nessuno, poi urla qualcosa di incomprensibile, resta
fermo con un libro dentro una mano, e poi urla ancora, senza alcuna
spiegazione, come se rifiutasse tutto ciò che ha attorno. Poi mi viene ancora
più vicino, apre il libro, mi fa vedere alcune righe della scrittura del libro,
ed io seguo il suo dito che indica con precisione alcune parole, però io non le
capisco, non so leggere quelle frasi, nessuno mi ha mai insegnato, così gli
dico che non so leggere, non so leggere nella sua lingua. Toni Boi adesso è
perplesso, si capisce che stia riflettendo sulla situazione che si è trovato di
fronte, e forse ne è dispiaciuto, forse gli sembra la lacuna più grande che ci
possa essere per qualcuno che è giunto in questo paese.
Alla fine,
ce ne andiamo tutti, ma lui mi segue, e quando rimaniamo da soli lungo la via,
con voce stentata mi chiede verso dove io stia andando. <<Vado al centro
immigrazione>>, gli dico, <<devo farmi a piedi diversi chilometri,
però è lì che abito, almeno per il momento>>. Allora Toni Boi si ferma,
mi porge la mano, ed io la stringo, come si usa fare tra persone rispettose.
Poi dice che lui potrebbe insegnarmi a leggere, se ne ho voglia, che in fondo non
ci vuole neppure molto, così almeno potrebbe prestarmi dei libri e farmi
comprendere l’importanza di quello che ci sta scritto. Annuisco, ma comprendo
sempre meno il motivo per cui gli altri ragazzi insistono a prenderlo in giro e
a dire che è un pazzo: a me sembra una persona socievole, colta, una che sa perfino
cosa serva per uno come me, quasi come il Sindaco di questo centro abitato. Gli
dico che lavoro nell’officina di Aldo Ferretti, e lui annuisce a sua volta, ma
adesso non dice niente, si ferma, e con un semplice gesto della mano all’improvviso
mi saluta, come se fosse già terminato il tempo della conoscenza.
Devo capire
in fretta quali siano le cose che mi servono per essere accolto dagli altri
ragazzi della squadra di calcio. E naturalmente devo anche comprendere quali
siano quelle che devo rifiutare per non essere additato per sempre come uno
diverso da tutti. Saper leggere è importante, rifletto; adesso che ci penso non
ho più letto nulla dal tempo in cui stavo in Senegal, ed anche se ogni tanto
Aldo Ferretti mi fa vedere qualche libretto istruzioni di una macchina, io mi
limito ad annuire, seguendo le piccole immagini che fortunatamente non mancano
mai. Forse questa opportunità che sembra volermi concedere di sua iniziativa Toni
Boi, cioè quella di imparare a leggere e a comprendere la scrittura europea, e
forse anche a scrivere, è una delle cose più importanti che mi possono
accadere, penso. Non so, credo che se mi capiterà di incontrarlo ancora gli
chiederò di portare avanti il suo progetto: ne sarei contento, potrei dirgli, sarebbe
quasi per me un gesto di fratellanza.
Bruno
Magnolfi
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