Devo
spostarmi, penso; ormai lo hanno capito che passo qui quasi ogni notte. Lo so
che sarebbe forse meglio lasciarmi portare dentro facendomi beccare con le mani
dentro una borsa di qualche signora, oppure fare il furbo al mercato, però mi
farebbero subito un processo per direttissima, e in un paio di giorni sarei di
nuovo fuori a ricominciare tutto da capo. Se ci penso per bene non me ne
importa proprio un bel niente di quello che sarà domani o tra qualche altro
giorno. Bevo dal cartone questo vino aspro da ottanta centesimi, e cerco il più
possibile di sentirmi intontito, senza possibilità di riflettere niente.
C’è
stato un tizio nel pomeriggio, aveva una chitarra sfondata e suonava con quella
delle cose che non avevo mai ascoltato. Bisogna fare dei miracoli per uscire
davvero da questo settore, penso; si può essere bravi a fare cose che attirano
momentaneamente la gente, e farti dare in un pomeriggio un sacco di spiccioli,
ma poi devi smettere, devi cercarti un posto dove passare la notte, ti compri
qualcosa di aspro da bere e ti vieni a sdraiare sopra ai cartoni, come noi
tutti.
Ormai
non ti guardano neppure più: passano oltre, tutti quanti, come se neppure
esistessi: puoi suonare le cose più incedibili di questo mondo, ragazzo, penso
di dirgli; nessuno ti dà ascolto davvero, sentono che ci ha messo l’impegno,
sei bravo, ma tutto questo non serve a un bel niente. Qualcuno applaude, ride,
si diverte delle cose che riesci a mettere insieme, ma nessuno è sincero, devi
stare al tuo posto, pensano tutti, farci divertire magari in un pomeriggio
così, e poi basta.
Gli
batto una mano sopra la spalla: mi piaci ragazzo, vorrei quasi dirgli; si sente
che hai della stoffa, che hai avuto soltanto sfortuna, altrimenti chissà dove
saresti a quest’ora. Lui mi guarda nella stessa maniera che si guarda qualsiasi
altra cosa. Sistema in un angolo la sua chitarra sfondata, sogna che qualcuno
passi da lì, che dica un giorno di questi che quel ragazzo riesce a suonare
qualcosa che non si è mai riusciti a sentire. Non ci sarà una persona così,
vorrei dirgli. Non ti arriverà davvero un aiuto, anche se hai la stoffa e
meriteresti parecchio, ma non devi illuderti, da questo settore non riuscirai
ad uscire con quella tua stupida chitarra.
Decido
di passare ancora una notte qui, nel posto di sempre, con i cartoni ed il
resto. Il ragazzo è poco distante, ha sistemato la sua chitarra sfondata subito
accanto al suo giaciglio, stiamo bene, ci guardiamo l’un l’altro, non ci può
succedere niente. Invece al mattino la sua chitarra non c’è. Qualcuno l’ha
presa, forse uno scherzo, forse una cattiveria gratuita. Non ha importanza,
vorrei dire al ragazzo; facciamo a meno di qualche cartone aspro di vino, ne
troviamo un’altra, potrai ancora suonare le tue cose incredibili. Ma lui è
disperato, va via, non so dove vada, la vita è la sua, la può gestire come
meglio decide. Anche io me ne vado, in fondo sono amareggiato almeno quanto lo
è lui: non si riesce ad essere niente, vorrei dirgli, se non si sta al proprio
posto, a farsi osservare dagli altri come le tigri dentro la gabbia.
Arriverà
un giorno che forse avrai ancora la tua chitarra, ragazzo, vorrei dirgli
ancora; e sarà forse a quel punto che ti renderai conto che non riesci più
neppure a suonarla, perché è passato già troppo tempo: e quello che era stato
una volta non sarà più.
Bruno
Magnolfi
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