giovedì 26 dicembre 2013

Cambio di vita.

            
            Devo spostarmi, penso; ormai lo hanno capito che passo qui quasi ogni notte. Lo so che sarebbe forse meglio lasciarmi portare dentro facendomi beccare con le mani dentro una borsa di qualche signora, oppure fare il furbo al mercato, però mi farebbero subito un processo per direttissima, e in un paio di giorni sarei di nuovo fuori a ricominciare tutto da capo. Se ci penso per bene non me ne importa proprio un bel niente di quello che sarà domani o tra qualche altro giorno. Bevo dal cartone questo vino aspro da ottanta centesimi, e cerco il più possibile di sentirmi intontito, senza possibilità di riflettere niente.
            C’è stato un tizio nel pomeriggio, aveva una chitarra sfondata e suonava con quella delle cose che non avevo mai ascoltato. Bisogna fare dei miracoli per uscire davvero da questo settore, penso; si può essere bravi a fare cose che attirano momentaneamente la gente, e farti dare in un pomeriggio un sacco di spiccioli, ma poi devi smettere, devi cercarti un posto dove passare la notte, ti compri qualcosa di aspro da bere e ti vieni a sdraiare sopra ai cartoni, come noi tutti.
            Ormai non ti guardano neppure più: passano oltre, tutti quanti, come se neppure esistessi: puoi suonare le cose più incedibili di questo mondo, ragazzo, penso di dirgli; nessuno ti dà ascolto davvero, sentono che ci ha messo l’impegno, sei bravo, ma tutto questo non serve a un bel niente. Qualcuno applaude, ride, si diverte delle cose che riesci a mettere insieme, ma nessuno è sincero, devi stare al tuo posto, pensano tutti, farci divertire magari in un pomeriggio così, e poi basta.
            Gli batto una mano sopra la spalla: mi piaci ragazzo, vorrei quasi dirgli; si sente che hai della stoffa, che hai avuto soltanto sfortuna, altrimenti chissà dove saresti a quest’ora. Lui mi guarda nella stessa maniera che si guarda qualsiasi altra cosa. Sistema in un angolo la sua chitarra sfondata, sogna che qualcuno passi da lì, che dica un giorno di questi che quel ragazzo riesce a suonare qualcosa che non si è mai riusciti a sentire. Non ci sarà una persona così, vorrei dirgli. Non ti arriverà davvero un aiuto, anche se hai la stoffa e meriteresti parecchio, ma non devi illuderti, da questo settore non riuscirai ad uscire con quella tua stupida chitarra.
            Decido di passare ancora una notte qui, nel posto di sempre, con i cartoni ed il resto. Il ragazzo è poco distante, ha sistemato la sua chitarra sfondata subito accanto al suo giaciglio, stiamo bene, ci guardiamo l’un l’altro, non ci può succedere niente. Invece al mattino la sua chitarra non c’è. Qualcuno l’ha presa, forse uno scherzo, forse una cattiveria gratuita. Non ha importanza, vorrei dire al ragazzo; facciamo a meno di qualche cartone aspro di vino, ne troviamo un’altra, potrai ancora suonare le tue cose incredibili. Ma lui è disperato, va via, non so dove vada, la vita è la sua, la può gestire come meglio decide. Anche io me ne vado, in fondo sono amareggiato almeno quanto lo è lui: non si riesce ad essere niente, vorrei dirgli, se non si sta al proprio posto, a farsi osservare dagli altri come le tigri dentro la gabbia.
            Arriverà un giorno che forse avrai ancora la tua chitarra, ragazzo, vorrei dirgli ancora; e sarà forse a quel punto che ti renderai conto che non riesci più neppure a suonarla, perché è passato già troppo tempo: e quello che era stato una volta non sarà più.


            Bruno Magnolfi

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