Se chiudo gli occhi vedo spesso una linea che cerca di congiungere due
punti distanti, ma praticamente senza riuscirci. Resto come leggermente
appoggiato ad una panchina sul ponte del piccolo traghetto che mi sta portando
sull'isola, e mi godo questo sole invernale nell'assenza quasi completa di
vento. Ho notato un ragazzo passare più volte da questa parte di nave, lui mi
ha guardato a sua volta, ed io ho immaginato per quel ragazzo pieno di vita una
gita di piacere, o qualcosa del genere. Ogni tanto continuo a fingere di
leggere qualcosa del mio giornale, ma la verità è che non ho voglia di leggere,
solo di pensare, di riflettere, anzi di lasciare che la mia mente si svaghi
soffermandosi sugli argomenti che vuole, senza limitazioni.
Ecco poi che torna il ragazzo, mi guarda di nuovo, sorride, rientra. E’
piacevole la sua vista, è quasi rassicurante che qualcuno cerchi i miei occhi
in mezzo all’indifferenza di tutti. Sfoglio una pagina. Lontano, sull'orizzonte,
si vede già l'isola, grigia e affogata nel niente, tra non molto dovrò scendere
in garage e salire sulla mia auto, pronto allo sbarco. Torno a chiudere gli
occhi: la linea non c'è più, e i due punti sono solo elementi estranei tra loro
e distanti. Mi alzo, penso che andrò fino al bancone del bar per farmi servire
un caffè prima di scendere, ma mentre mi muovo mi pare che un'onda lunga e
piacevole stia facendo rollare dolcemente la nave, quasi per lasciarci a noi poveri passeggeri un vero
ricordo di mare.
Il tempo sospeso che si respira in
questo non essere su di una terra e neppure sull’altra, pare quasi volersi
prendere una bella rivincita al momento in cui tutti iniziano ad incolonnarsi
per scendere, dando vita ad un affollamento insensato, quando ancora siamo peraltro
ben lontani dal porto d’attracco. Mi tengo distante da tutto, cerco di
respirare ancora quest’aria così particolare, così vado a sedermi di nuovo su
di una panchina del punte. Adesso intorno non ho quasi nessuno, posso tornare a
chiudere gli occhi, ad immaginare qualcosa che funga da enigma per divertirmi a
trovare soluzioni. Immagino il ragazzo di prima che si avvicini rompendo ogni
indugio, dica qualcosa che mostri i valori portanti dell’umanità e del suo
essere sociale, si avvicini a me con tenerezza, senza parlare, solo mostrando
se stesso.
Con gli occhi chiusi riesco quasi a
vedere l’isola di fronte a me mentre riesce ad accogliermi, a darmi un rifugio,
a mostrare quanto a portata di mano può essere una vita migliore, attraversata
da una maggiore sensibilità. Sento lo scorrere dell’acqua sotto di me, immagino
il fondale di scogli e tutta la vita che si muove là attorno. Avverto il sole
d’inverno sopra la faccia, caldo, piacevole, qualcosa di vivo. Torno a riaprire
le palpebre, mi guardo attorno per tornare lentamente a dove effettivamente mi
trovo, anche se quasi non ne avrei proprio voglia. C’è quel ragazzo vicino, mi
guarda, forse sorride. Rispondo al sorriso, non c’è alcuna parola da dire. Lui
se ne va, i marinai lanciano le cime verso le bitte, la nave si accosta
lentamente al molo di attracco. Scendo al garage, salgo sulla mia macchina, ne
avvio il motore: adesso è concluso, tutto quello che potevo immaginare svanisce
di colpo; percorro la rampa che mi immette sopra la terraferma dell’isola,
osservo un ultimo baluginare di sole, vedo il ragazzo di prima a piedi che si
allontana. Vado, il passaggio è definitivamente concluso.
Bruno Magnolfi
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