Lui era scivolato lentamente in mezzo a tutti, aveva
abbassato la falda del cappello quasi come fosse uno famoso che cerca di non
essere riconosciuto, ed aveva camminato tra la gente con il massimo di
naturalezza. Ci volevano delle fotografie, pensava, delle istantanee che
immortalassero quella situazione di incertezza, di mancanza di comprensione, di
senso di smarrimento che pareva serpeggiare dappertutto.
Gli ultimi missili avevano colpito una zona abbastanza
precisa della città, quella dove chiunque sapeva come vi si nascondessero le
frange più estremistiche del movimento, quelle più pericolose, avverse al
regime con ogni mezzo. In quelle condizioni era difficile per tutti cercare di
mandare avanti una vita normale, ed anche se la paura non aveva ancora preso il
sopravvento su qualsiasi altra cosa, di fatto ogni persona girava per strada
cercando di arraffare, dai discorsi degli altri, maggiori informazioni
possibili, quelle notizie che pareva continuamente mancassero, nonostante i
resoconti continui e in diretta forniti dalle radio private finanziate dalle
organizzazioni non governative straniere.
Per lui non sussisteva minimamente il problema di cosa
politicamente stesse accadendo, ma l’elemento principale da cui si sentiva
attratto era proprio la mancanza di comprensione, da parte della gente, per ciò
che stava effettivamente succedendo, minuto dopo minuto, e quel bisogno
spasmodico che tutti parevano avere, di prevenire la prossima mossa concreta
che avrebbero effettuato i poteri statali, oppure il movimento, e chi avrebbe
mosso il prossimo attacco militare, e perciò il conseguente pericolo da
evitare. Qualcuno si dava da fare per trovare contatti con i clandestini, altri
mettevano in campo amici o parenti tra le fila dei miliziani ancora fedeli al
presidente.
Difficile fotografare la gente mentre si muove, pensava
lui, non rende quasi niente dei veri sentimenti che sono in campo; piuttosto
era necessario trovare una singola persona che magari soltanto con la propria
espressione rendesse appieno quell’incertezza tangibile, quella sfuggevolezza
dei comportamenti. Infine, tramite poche parole scambiate con alcuni che
apparivano stranamente sicuri di sé, si era fatto convincere a visitare una
specie di rifugio ricavato proprio al di sotto di un cumulo di macerie.
Molte persone là dentro si stringevano nella certezza che
gli attentati che stavano squassando il territorio cittadino fossero una specie
di terremoto, una catastrofe naturale, un’alluvione a cui non si potesse
opporre alcuna resistenza. Stavano là dentro nella paura, ma anche nella
speranza che un prossimo futuro li trovasse vivi, senza troppe ferite, magari
indenni da ciò che era accaduto o che stava per accadere. Naturale, umano,
persino troppo. Lui aveva fatto delle istantanee di una famiglia con dei
bambini piccoli, orgogliosi della loro unione, fiduciosi quasi di tutto, poi era
tornato lungo la strada.
Adesso l’aria che si respirava sembrava sospesa, come se
tutto fosse in attesa di qualcosa di ancor più incomprensibile. Aveva piazzato
la sua reflex sul cavalletto, scattato delle foto di persone che passavano in
fretta sui marciapiedi, alcuni addirittura di corsa, e infine si era allontanato,
ma soltanto per entrare dentro un negozio aperto di generi alimentari. Una
signora cortese dietro al bancone gli aveva sorriso, quasi fosse quella una
giornata come tutte le altre, poi gli aveva chiesto cortesemente di che cosa
avesse bisogno. Quell’aura di normalità ritrovata, d’improvviso, diventava ai
suoi occhi esattamente quello che lui
stava cercando: il tentativo di superare ciò che doveva ancora accadere, il
bisogno di ritrovare le cose di tutti i giorni, magari anche la voglia di
esserci e di sapere, senza però alcuna frenesia. Quella insomma era proprio la
fotografia che andava cercando.
Bruno Magnolfi
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