Nel piccolo ingresso del mio appartamento c'è uno
specchio verticale alto quasi quanto me, ed essendoci una poltroncina proprio
di fronte, certe volte mi siedo lì, a
guardarmi riflessa, fino quasi a stancarmi. Accanto rimane ben chiusa la porta
che dà sulle scale condominiali, e così certe volte sento passare sul
pianerottolo i miei vicini che escono, che vanno a far spese, o al lavoro, o
forse a trovare gli amici. Li sento, ascolto le loro voci smorzate, i passi di
fretta, qualche parola detta ridendo e quasi sempre per me incomprensibile. Per
ogni evenienza di sicurezza ho la chiave dell’appartamento dove essi abitano,
me l'hanno consegnata proprio loro alcuni mesi fa, ringraziandomi pure e a
lungo per la cortesia.
A volte sorrido quando mi rendo conto di avere nelle mie mani
la loro stessa sorte, così guardo la chiave che tengo riposta dentro al
cassetto della credenza e mi sento subito bene, so che ho quasi un dominio
sopra di loro, che praticamente se voglio posso gestire molte faccende di
questi miei vicini. Lascio normalmente che escano, che vadano pure a fare le
loro cose, a divertirsi se vogliono, perché io posso entrare quando mi va in
quelle stanze, magari spostare appena qualcosa che li metta in conflitto tra loro,
o che instilli nella loro coscienza, giorno dopo giorno, la consapevolezza di
aver forse perso ormai la memoria, o la pratica capacità di tenere tutto sotto
controllo.
Ma poi non faccio mai niente di quello che penso, sorrido
tra me e mi limito a starmene qui, a guardarmi rilassata e immobile in questo
specchio neutrale, e a sospirare della vita che gli altri mi pare gettino via
dietro qualcosa che secondo me non riveste alcuna importanza, per come sono
sicura del senso di certi comportamenti.
Quando esco mi guardo sempre attorno per vedere se sono
da sola lungo le scale, altrimenti abbasso la testa, mi raccolgo nel mio
cappotto, lascio andare forse un frettoloso saluto verso chi incontro, senza
fare nient'altro, perché sono convinta non ci sia assolutamente bisogno di
mettersi tanto a parlare del più e del meno con gli altri, specialmente se sono
quasi estranei. Sto bene solo quando torno nelle mie stanze, quando chiudo la
porta alle mie spalle, quando immediatamente lancio uno sguardo rapidissimo
dentro lo specchio, appena un’occhiata, ma giusto per vedere che tutto sia a
posto.
Durante le prossime feste i miei vicini mi hanno fatto
capire che partiranno per qualche giorno, che forse dovrò vegliare oltre che su
di me, anche sul loro appartamento: sentissi qualche rumore sospetto, oppure un
odore di gas giungere dal loro portone, o altre cose del genere, non devo aver
remore a chiamare soccorsi, mi dicono. Sorrido, non succederà niente del
genere, penso; semplicemente magari darò un'occhiata alle loro cose, dentro ai
cassetti più remoti dei mobili, di questo penso non potrò farne a meno, anzi, praticamente
ormai non vedo l'ora di andare a rovistare da qualche parte.
Cercherò di capire da queste incursioni che tipi sono, il
grado di intimità dei loro comportamenti, e quel modo sentimentale e mieloso di
fare sempre le cose assieme, quasi fossero inseparabili. Penso già che non
riuscirò a resistere alla tentazione di mettere qualcosa fuori di posto, di far
trovare qua e là qualche oggetto che possa incrinare la loro fiducia reciproca.
Non c'è niente di male, penso, bisogna anche saper affrontare delle variabili
che non abbiamo considerato, io nel caso riuscirò sempre a negare di aver fatto
qualsiasi cosa al di fuori di quanto pattuito. Male che vada li porterò a
vedere lo specchio, e ripeterò tutto quanto davanti a loro mentre mi guardo
riflessa: impossibile mentire in certi casi, lo sanno tutti.
Bruno Magnolfi
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