mercoledì 11 dicembre 2013

Tra le cose dimenticate.

            

Nel piccolo ingresso del mio appartamento c'è uno specchio verticale alto quasi quanto me, ed essendoci una poltroncina proprio di fronte, certe volte mi siedo lì,  a guardarmi riflessa, fino quasi a stancarmi. Accanto rimane ben chiusa la porta che dà sulle scale condominiali, e così certe volte sento passare sul pianerottolo i miei vicini che escono, che vanno a far spese, o al lavoro, o forse a trovare gli amici. Li sento, ascolto le loro voci smorzate, i passi di fretta, qualche parola detta ridendo e quasi sempre per me incomprensibile. Per ogni evenienza di sicurezza ho la chiave dell’appartamento dove essi abitano, me l'hanno consegnata proprio loro alcuni mesi fa, ringraziandomi pure e a lungo per la cortesia.
A volte sorrido quando mi rendo conto di avere nelle mie mani la loro stessa sorte, così guardo la chiave che tengo riposta dentro al cassetto della credenza e mi sento subito bene, so che ho quasi un dominio sopra di loro, che praticamente se voglio posso gestire molte faccende di questi miei vicini. Lascio normalmente che escano, che vadano pure a fare le loro cose, a divertirsi se vogliono, perché io posso entrare quando mi va in quelle stanze, magari spostare appena qualcosa che li metta in conflitto tra loro, o che instilli nella loro coscienza, giorno dopo giorno, la consapevolezza di aver forse perso ormai la memoria, o la pratica capacità di tenere tutto sotto controllo.
Ma poi non faccio mai niente di quello che penso, sorrido tra me e mi limito a starmene qui, a guardarmi rilassata e immobile in questo specchio neutrale, e a sospirare della vita che gli altri mi pare gettino via dietro qualcosa che secondo me non riveste alcuna importanza, per come sono sicura del senso di certi comportamenti.
Quando esco mi guardo sempre attorno per vedere se sono da sola lungo le scale, altrimenti abbasso la testa, mi raccolgo nel mio cappotto, lascio andare forse un frettoloso saluto verso chi incontro, senza fare nient'altro, perché sono convinta non ci sia assolutamente bisogno di mettersi tanto a parlare del più e del meno con gli altri, specialmente se sono quasi estranei. Sto bene solo quando torno nelle mie stanze, quando chiudo la porta alle mie spalle, quando immediatamente lancio uno sguardo rapidissimo dentro lo specchio, appena un’occhiata, ma giusto per vedere che tutto sia a posto.
Durante le prossime feste i miei vicini mi hanno fatto capire che partiranno per qualche giorno, che forse dovrò vegliare oltre che su di me, anche sul loro appartamento: sentissi qualche rumore sospetto, oppure un odore di gas giungere dal loro portone, o altre cose del genere, non devo aver remore a chiamare soccorsi, mi dicono. Sorrido, non succederà niente del genere, penso; semplicemente magari darò un'occhiata alle loro cose, dentro ai cassetti più remoti dei mobili, di questo penso non potrò farne a meno, anzi, praticamente ormai non vedo l'ora di andare a rovistare da qualche parte.
Cercherò di capire da queste incursioni che tipi sono, il grado di intimità dei loro comportamenti, e quel modo sentimentale e mieloso di fare sempre le cose assieme, quasi fossero inseparabili. Penso già che non riuscirò a resistere alla tentazione di mettere qualcosa fuori di posto, di far trovare qua e là qualche oggetto che possa incrinare la loro fiducia reciproca. Non c'è niente di male, penso, bisogna anche saper affrontare delle variabili che non abbiamo considerato, io nel caso riuscirò sempre a negare di aver fatto qualsiasi cosa al di fuori di quanto pattuito. Male che vada li porterò a vedere lo specchio, e ripeterò tutto quanto davanti a loro mentre mi guardo riflessa: impossibile mentire in certi casi, lo sanno tutti.


Bruno Magnolfi

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