“Sono fermo”, dico
con le dita ancora sulla tastiera senza neppure guardare in faccia il mio
amico. “Certe volte immagino di avere ancora delle possibilità, di potercela
fare a rimettermi di nuovo in carreggiata, così mi illudo, prendo fiducia,
faccio qualche telefonata, scambio della corrispondenza affidando alla posta
elettronica delle strenue richieste di risposte positive, che puntualmente non danno
alcun esito, andando a perdersi come nel vuoto”. Dentro lo schermo
dell’elaboratore principale, i grafici mostrano in questo momento dei segni
positivi relativi a quasi tutti i titoli presi in esame per le solite
simulazioni, ma oramai tutte le possibilità per puntare ancora qualcosa
sull’economia virtuale sembra proprio si siano fatte inconsistenti.
“D’accordo, beviamoci
sopra una birra”, dico alzandomi indolenzito dallo sgabello anatomico dove ho
trascorso persino troppe ore anche per oggi, senza che tutto il mio impegno sia
servito minimamente a qualcosa. “Arriviamo fino all’angolo della strada, dal
solito vinaio”, dico cercando di sorridere; “in fondo qualche spicciolo nelle
tasche ancora mi è rimasto, almeno per qualche bevuta”. Il mio amico mi segue
annuendo, io sono perfettamente cosciente di dover restituire pure a lui dei
fondi che mi aveva elargito quando le cose sembravano andare a gonfie vele,
anche se sembra probabile, considerata la situazione, che da me non vedrà
indietro più niente, soprattutto perché non mi trovo più adesso in condizioni
di poterlo risarcire.
Il mio amico ogni
tanto parla della sua famiglia, di qualche sciocco problema di salute che ha
avuto, della casa dove abita e del suo lavoro, ed io lo ascolto volentieri per
qualche momento, anche se mi rendo sempre più conto ogni volta che i miei
argomenti sono molto meno variegati, e dipendono sempre e soltanto dai titoli
di borsa. Sono perfettamente consapevole di aver vissuto negli ultimi anni
dentro ad una specie di bolla speculativa che non mi ha permesso di pensare
praticamente a nient’altro, ed adesso purtroppo recuperare quanto mi sento di
avere perduto, non è più proprio possibile. Ci sediamo, ci portano da bere, mi
mordo la lingua in due o tre occasioni per non riprendere a parlare della borsa
e degli andamenti dei mercati, e mi rendo conto ancora di più che ogni
argomento che ascolto mi pare secondario rispetto a quanto mi gira tuttora
dentro la testa.
Poi lui va a toccare
i vecchi tempi, sa che in questo modo può forse riuscire a farmi sorridere,
quando tutto questo sfacelo dei mercati elettronici non c'era, ed era ancora
lontano da sopraggiungere, e di nuovo quello che vedo disegnato dalle sue
parole mi appare però un mondo distante da me, forse stupido, ininfluente,
senza spessore. Mi sento irrecuperabile, non tanto per i debiti che ho
accumulato praticamente con tutte le persone che conosco cercando di rimettermi
in sesto, quanto perché la mia mente si è ormai distorta, e non continua a
pensare ad altro che ai grafici e ai numeri percentuali. Poi brindiamo a
qualcosa che ha appena finito di dire, il mio amico, e lui, guardando l’orologio,
dice che adesso però deve andarsene, ha già fatto tardi per qualcosa a cui
tiene. Lo saluto, resto seduto a guardarlo mentre va via, so bene che non lo
rivedrò più per un pezzo, perché lui si terrà alla larga da me: sono inquinato,
riempito fino all’orlo di titoli spazzatura che non mi permettono più di
galleggiare, e di tornare a dei rapporti normali con gli altri. Trovo
spaventosa la solitudine, ma anche per questo voglio rimettermi in fretta
davanti alle mie macchine: soltanto lì alla fine sto bene, mi sento ancora in
rapporto con qualcuno, anche se la comunicazione che riesco a portare avanti
con gli operatori sparsi chissà dove, è composta soltanto da indici.
Bruno Magnolfi
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