"Sono io a sbagliare”, dice con piglio. Poi si
prende una pausa durante la quale si sposta di circa un metro. “Anche se la
differenza tra essere giusti o in errore è sempre minima, quasi una
stupidaggine", conclude. L'operaio sul ponteggio prosegue a parlare con un
altro operaio, ma senza guardarlo, mentre ambedue continuano a stendere
l'intonaco fresco sulla facciata, lavorando con ritmo, senza risparmio, senza
mai smettere. Dieci metri più in basso qualcuno prepara la malta per loro, in
maniera che non ci siano mai delle perdite di tempo. “Mio figlio certe volte mi
guarda, e forse pensa che non avrei mai potuto far altro che questo mestiere.
E’ come se tutto fosse inamovibile nella sua mente: pensieri fatti e poi
definiti, senza variabili”. Il ponteggio si muove ogni tanto, quando i due
operai si spostano a destra o a sinistra, per via della flessibilità dei ferri
e dei piani, ma tutto è ben solido, non ci sono problemi.
“Lui crede che il lavoro sia quello che uno si merita”,
fa ancora lui, “ed io non so proprio spiegargli cosa ci sia di sbagliato in
questo schema”. Di sotto qualcuno urla di tirare su il verricello, la carretta
è già pronta, piena fino all’orlo e di giusta consistenza. Lui si accende una
sigaretta mentre pigia il pulsante azzurro del macchinario, ed osserva venir su
la merda grigia, fredda, scostante, pronta a cadere da tutte le parti se non la
sai trattare nella giusta maniera. L’altro intanto raschia i residui nei
cassoncini, poi li sbatte sui piani, ed infine ripulisce le zone dove loro mettono
i piedi. Arriva la roba e i due ricominciano, riprendendo a stendere dallo
stesso punto dove si sono interrotti. “E’ difficile parlare con questi
ragazzi”, fa lui. “E’ come se ci fosse tra lui e noi una distanza molto
maggiore di una semplice generazione”.
Qualcuno poi dice qualcosa da sotto: sembra che in
cantiere sia appena arrivato il geometra a controllare i lavori, ma nessuno
trova niente di cui preoccuparsi, i lavori procedono, tutto va bene. "Certe volte gli dico che è solo
la passione; è l'entusiasmo che metti nelle cose che
fai, a produrre tutta la differenza. Ma lui ride e basta, sembra non gli
interessi nulla di niente". Arriva il geometra sotto al ponteggio,
chiede con voce alta se tutto proceda come previsto, loro si affacciano un
attimo, gli dicono: “certo; è tutto sotto controllo”. Quello dopo poco se ne
va, e loro continuano come sempre. “Non vorrei mai facesse il mestiere di suo
padre”, fa lui; “però neppure quello di uno stronzo come il geometra”. L’intonaco
nelle zone più lontane da dove stanno loro comincia a tirare, e lo si vede
schiarire già dalle sfumature di grigio.
Arriva
mezzogiorno, e loro scendono, dopo aver sciacquato con cura tutti gli utensili
che hanno sopra al ponteggio. Si siedono dentro all’edificio senza finestre,
sopra dei mattoni forati appoggiati in mezzo alla polvere, ed aprono le loro
borse, tirano fuori con attenzione le cose che devono mangiare. “Vorrei tanto
che qualcuno mi desse una dritta”, fa lui; “che esistesse un sistema sicuro per
non sbagliare mai con i figli”. L’altro lo guarda, ed anche se non ha figli
comprende tutta la sua preoccupazione, mentre addenta qualcosa. “Potrei fare
come tanti”, prosegue; “fregarmene; e lasciare che fosse lui a scegliere la
propria strada. Ma non sarei tranquillo se almeno non gli spiegassi cosa c’è da
scansare, cosa non vorrei mai che facesse nella sua vita. Perciò voglio farlo
venir qui qualche volta, per fargli mangiare anche a lui un po’ di questa
polvere arida, e comprendere meglio le parole che adesso non so proprio dirgli”.
Bruno
Magnolfi
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