“Arrivo”,
gli fo, dopo che lui ha già bussato diverse volte ai vetri della finestra che
si affaccia sul retro della mia casa. Forse oggi non avevo neppure troppa
voglia di uscire dalla mia cameretta, penso, ma è evidente che in questo
momento ormai non ne posso proprio fare a meno. Il mio amico viene quasi tutti
i pomeriggi a scuotermi dal torpore che spesso mi prende dopo la scuola, e
comunque a me fa piacere che lui mi dia un po’ d’importanza. Generalmente apro
la finestra ed esco direttamente da lì, scavalcando il davanzale, senza dare
tante spiegazioni alla mia mamma che sta nell’altra stanza e crede proprio che
rimanga tutto il giorno curvo sopra i libri.
Non
facciamo niente di male in fondo, quasi sempre ci si va ad infilare nel nostro
rifugio fatto di canne e sterpi subito fuori dal centro abitato accanto ad un
fosso, e si sta lì, seduti per terra, a parlare sottovoce e a rannicchiarci
ogni volta che avvertiamo nei dintorni qualche rumore. "Ho recuperato una
cicca", fa lui, e tira subito fuori una sigaretta senza filtro che
sappiamo lasciarci in bocca tutto l'amaro del tabacco, ma che è sempre meglio
di niente. Abbiamo promesso da diverse settimane di dare una bella lezione ad
un tizio grosso che a scuola ci rompe sempre le scatole, così mentre si fuma si
parla quasi sempre di questo tipo e di quello che possiamo fargli uno di questi
giorni. "Dobbiamo essere in diversi", fa adesso il mio amico; "e
tutti con le bende sopra la faccia per evitare problemi nei giorni seguenti'.
"Certo", lo incalzo io; "gli diamo appuntamento da queste parti
con una scusa, e poi all'ultimo momento usciamo fuori con i bastoni e gli
facciamo passare la voglia di fare tanto il grosso e il prepotente".
“Non
voglio più andare a scuola”, fa lui a un certo punto; “dopo questo lavoretto
per esempio mi metterò ad organizzare delle soluzioni per far ragionare tutti
quelli che rompono le scatole”. Lo guardo mentre inevitabilmente mi scappa già
da ridere. “Pensi che possa diventare un mestiere fare cose del genere?”, gli
fo. Lui mi guarda ed assume subito un’espressione seria. Prende un’altra
boccata di fumo, fa qualche colpetto di tosse, poi dice: “non lo so, ma io non
credo molto nel futuro. Penso che si debba vivere tutto nel presente. Fare le
cose che ci girano dentro la testa in questo momento, senza aspettare un bel
nulla di ciò che sarà, perché si cambia velocemente, e ci si ritrova ad aver
gettato via solo un sacco di tempo”. “Su questo hai ragione”, gli dico.
Poi
qualcosa si muove intorno al nostro capanno, così ci mettiamo in ascolto cercando
di vedere qualcosa tra le fessure delle canne legate insieme. Ci sono due tizi
che risalgono il fosso vicino, forse cercano qualche tana di animale, o dei
nidi di airone, chissà. Il mio amico alza le spalle, lui se ne frega di quello
che succede qua attorno, penso; ormai è andato avanti, non è più interessato
alle cose spicciole che fino a ieri ci davano preoccupazione e forse un po’ ci
piacevano. “Ce la puoi fare”, gli fo tanto per dare una spinta ai suoi
propositi. “Lo so”, fa lui senza neppure guardarmi. “Bisogna crescere in
fretta”, mi fa; “dobbiamo guadagnarci un ruolo prima di tutto. Questo è quello
che penso. Se continuiamo ad andarcene a scuola diventiamo tutti quasi
identici, anche se alcuni di noi riescono a prendere di mira i prepotenti e quelli
privi di testa”.
Infine
usciamo da lì, lentamente si torna indietro, e quando siamo sul retro di casa
mia, vedo che la finestra della mia cameretta è ancora accostata, mi mamma non
si è accorta di nulla. “Ciao”, gli faccio al mio amico, “dove te ne vai
adesso?”. “Non lo so”, mi fa lui; “però mi sa tanto che torno al rifugio. Tanto
devo iniziare a prenderci confidenza, anche se tra poco sarà quasi buio”.
Bruno
Magnolfi
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