giovedì 3 luglio 2025

Rifugio apprezzato.


            Qualche volta, ripenso alle giornate trascorse in ospedale. Adesso, a distanza di anni, mi sembrano tutte uguali, scandite, oltre che dagli orari dei pasti, soltanto da quelli della sveglia e dell’oscuramento delle lampade. I tranquillanti alla sera mi lasciavano piombare in un improvviso sonno senza sogni, ma il fatto di ritrovarmi al mattino ancora in quei luoghi così spogli e privi di colore, era per me sempre una sorpresa poco gradita. Mi adattavo a quello che era stato diagnosticato nei miei confronti, ma sapevo che quella depressione, coltivata dopo la morte di mia madre, dipendeva soltanto dalla mia forza di volontà. La convinzione ferma nella mia mente che io potessi uscire in qualsiasi momento da quello stato in cui sembravo versare, mi portava a proseguire imperterrito con il mio silenzio e con l’indifferenza a tutto, insieme ad un’apparente incapacità ad essere minimamente socievole con chiunque. In quel momento mi sembrava una vera forza di carattere quella di potermi isolare dal resto, e soprattutto il fatto di tenere così nelle mani il mio destino, mi faceva sentire costantemente al di sopra di tutto e anche di tutti. Ero cedevole, apatico, inerte, ma soltanto perché desideravo con tutto me stesso apparire così. Quasi un gioco il mio, almeno durante alcune ore del giorno, fino a lasciare agli incontri con il medico, che avvenivano una volta o due ogni settimana nel suo bianco ambulatorio, un rituale pressoché insignificante.

            <<Antonio>>, mi chiamavano a voce alta gli infermieri, forse anche per cercare di scuotermi dal torpore che mostravo, ma io tenevo lo sguardo basso, le braccia lungo i fianchi, e spesso appoggiavo la spalla ad una qualsiasi delle pareti di quel luogo, come tentassi di diventare una parte costituente di quei muri stessi. Qualcuno mi incoraggiava anche a parlare, ma io mi mostravo sempre apatico, anche se qualche volta questa posa mi pesava. Gli altri degenti che incontravo a volte nei corridoi della clinica o nel giardinetto di fronte alla costruzione, per me erano a loro volta soltanto dei fantasmi che seguivano un filo personale di ricerca, come se tutti lì dentro avessero smarrito la propria anima, tentando di trovarne traccia sopra le mattonelle delle camerate, oppure tra i cespugli radi, o tra le parole incomprensibili che certe volte mormoravano direttamente ognuno a sé stesso. Il mio silenzio naturalmente ritenevo fosse superiore ai loro sforzi, anche se qualche volta provavo la necessità di mostrare d’improvviso la mia presenza nel luogo, emettendo qualche urlo soffocato che non aveva nessun altro scopo se non quello di muovere l’aria davanti alla mia bocca.

            Sapevo che normalmente avrei potuto in qualsiasi momento mettermi a parlare con chiunque tra quei muri, ma il fatto che per me non fosse di alcun interesse farlo, evidenziava il mio carattere deciso, la mia convinzione nell’indossare una maschera del tutto inamovibile. Poi veniva a trovarmi mia sorella con suo marito, ed io lasciavo che lei mi ponesse delle domande a cui non trovavo da dare mai alcuna risposta, però i libri di narrativa che ogni volta mi portava, davano un pronto refrigerio alla mia mente, e quando qualche titolo mi appariva più gradito anche di altri, non la deludevo con il mio silenzio, ma mostravo volentieri un certo apprezzamento, sorridendo e ringraziando. In quel periodo credo di essere stato l’unico là dentro a sprofondarmi in qualche lettura, tanto che tutto questo sicuramente veniva visto come un buon segnale per il mio ristabilimento. Certi giorni pensavo che non sarei mai uscito dalla clinica, tanto più che non ne provavo alcuna voglia, ma quando meno me lo sarei aspettato il solito dottore disse che sarei andato a casa la settimana seguente, perché non avevo più necessità delle loro cure. Così mi adeguai a quanto deciso, senza mostrare opposizioni.

            Quando cercai di radunare i miei pensieri e la mia esperienza maturata dentro l’ospedale, mi parve che non ci fosse niente di positivo da portare via con me, e gli ultimi giorni trascorsi tra quelle mura imbiancate mi riempirono persino di una nuova inedia, accompagnata dall’apprensione naturale per le mie nuove giornate che mi attendevano tra poco. Il fatto di andare ad abitare nella casa di mia sorella mi lasciava abbastanza indifferente, anche se convivere con quel suo marito restava per me qualcosa di poco apprezzabile. Per lui ero sicuramente un peso di cui avrebbe voluto volentieri liberarsi, ma la situazione era tale che la sua opinione in quella abitazione probabilmente era l’ultima cosa di cui tenere conto. Mi destinarono una stanzetta sgombra, e mi tennero d’occhio per diverse settimane, forse su consiglio del dottore, probabilmente per evitare che combinassi qualche guaio o che volontariamente o meno mi ferissi in qualche modo. In seguito però, lasciarono che uscissi di casa anche da solo, magari per fare qualche acquisto semplice per mia sorella, e per tornare a socializzare con gli abitanti del paese, anche se di questo non mostrai troppo interesse. Scoprii la biblioteca invece, che iniziò rapidamente ad essere il mio rifugio più apprezzato.

 

            Bruno Magnolfi   

lunedì 30 giugno 2025

Motivazioni serie.


            Ormai tra gli abitanti del piccolo centro di provincia si è diffusa la notizia di un ragazzo di colore, migrante da un paese africano, che si è inserito a lavorare come meccanico dal vecchio Aldo Ferretti, e che oltretutto ha subito trovato da divertirsi nella locale squadra di calcio, incoraggiato e sostenuto dal Sindaco del paese che sembra vedere di buon occhio, per ragioni tutte politiche, l’integrazione di questo nuovo arrivo nel paese. Molti proseguono a ripetere come tutto ciò sia soltanto l’inizio, e che dopo una breve prova giungeranno sicuramente in massa altri migranti per togliere il lavoro ai ragazzi del posto e per portare in giro le loro usanze spesso insopportabili. Altri dicono pure, andando all’officina di Aldo per la manutenzione alla loro auto, che ogni volta sono pronti a raccomandarsi che sia proprio lui a mettere le mani sul loro veicolo, in modo da non trovarsi nei guai per qualcosa montato male oppure anche peggio. Altri invece, che trovano quel ragazzo con la faccia e le mani nere sempre serio e diligente, ad iniziare dall’autista della corriera che ogni mattina lo trasporta fino lì dal centro immigrati del paese vicino, e che continua a ripetere, quando fa la prevista pausa con il suo mezzo all’interno della piazza principale di quel borgo, che quella è una persona come si deve, sempre pronta verso gli altri, e brava anche a mettersi dalla parte giusta delle cose, fino a cedere il posto per sedersi alle donne ed agli anziani che salgono là sopra, sostengono che tutti sono contenti della sua presenza, anche se sono sempre in pochi.

            Aldo non si preoccupa: sapeva già fin dall’inizio che ci sarebbero state delle critiche, però sa anche bene che comincia ad avere personalmente una certa età, e che qualche operazione gli è diventata nel corso del tempo un vero sforzo fisico, visto che nessuno dei ragazzi del paese ha mai mostrato la voglia di lavorare ed aiutarlo nella sua officina. Niocke quando è arrivato sapeva già diverse cose dei motori, forse anche più di quelle che ha mostrato di conoscere, e in poco tempo comunque ha fatto vedere di essere capace di svolgere il suo ruolo senza alcun problema, tirandosi su le maniche ed affrontando qualsiasi cosa gli venisse sottoposta per essere messa a regime. <<Non parla quasi mai>>, dice Aldo a chi si incuriosisce di quel ragazzo serio e silenzioso; <<se non per chiedere dei chiarimenti o per farsi mostrare come si possono smontare e rimontare i pezzi di qualche ingranaggio che ancora non conosce. Però è rapido ad apprendere, ed una cosa detta per una volta è spesso sufficiente a fargli incamerare quella nuova competenza>>. I suoi clienti lo ascoltano e generalmente evitano di mostrare delle perplessità, proprio per non apparire delle persone retrograde e senza fiducia nei cambiamenti, pur conservando qualche scetticismo, anche se poco per volta si adattano alla nuova situazione, e si accorgono che le proprie automobili vengono trattate sempre bene in quell’officina, indipendentemente da chi sia alla fine a metterci le mani.

            Per quanto riguarda il calcio, qualcuno vorrebbe che l’allenatore avesse deciso di tenere Niocke soltanto come riserva della squadra, però si rendono conto, ogni domenica di più, anche solo osservando senza troppa curiosità i ragazzi che disputano la partita a pallone sul campetto del paese, che quel giocatore con la faccia nera e la camminata dinoccolata spesso riesce a fare proprio la differenza che occorre sul campo di gioco, e con la sua corsa irraggiungibile ed i suoi scatti improvvisi in avanti è capace anche di segnare l’agognata rete della vittoria. Insomma, in diversi sostengono a denti stretti che quello sia effettivamente un buon giocatore, ma il fatto che non sia proprio uno dei ragazzi del paese, ma soltanto un migrante che non si sa bene neppure da dove sia arrivato nella loro cittadina, non è cosa che si possa buttar giù come una sorsata d’acqua fresca. Si dice che presto fortunatamente così com’è arrivato sicuramente se ne andrà, e che lavora da Aldo soltanto per qualche tempo e con un piccolo contratto a tempo determinato, visto che anche il proprietario dell’officina non appare mai per nulla contento di ciò che gli ha inviato l’ufficio di collocamento con la richiesta che aveva fatto pubblicare. E quasi tutti sono pronti a sostenere che i malumori a bordo campo durante le partite di calcio della domenica sono andati ad aumentare ultimamente, e gli stessi giocatori, pur vincendo adesso qualche partita in più, non sono certo soddisfatti di quanto hanno visto giungere tra le loro file, considerato che la scena ormai è tutta presa ogni domenica da quel ragazzetto tutt’ossa con la pelle nera che sembra sia sempre dappertutto dentro al campo.

            Insomma, per una ragione o per l’altra, tutti sembrano scansarlo, ma tutto questo, invece che rendere Niocke un ragazzo triste e insoddisfatto, pare lasciarlo inorgoglire nella sua diversità, come se fosse un vanto starsene da soli in mezzo a tanta gente che lo guarda in modo strano e tira giù dei gratuiti giudizi su di lui, senza preoccuparsi neppure troppo che siano veritiere o meno quelle motivazioni che accampano tra loro, spesso con estrema e divertita facilità.

 

            Bruno Magnolfi

sabato 28 giugno 2025

Lungo la strada.


            Il figlio del Sindaco Rimonti si chiama Marco. Lui non va molto d’accordo con il suo papà, anche se non c’è un vero motivo che lo faccia essere così scostante. Probabilmente il problema è il naturale dissenso che si verifica in età adolescenziale, quando i ragazzi credono di aver compreso già tutto ciò che serve, e si contrappongono a chi vorrebbe ancora spiegare loro almeno qualcosa di più. Marco ogni mattina prende la corriera per andare al liceo, perché nel centro abitato dove è nato e vissuto fino ad oggi non ci sono degli istituti superiori, soltanto le medie, oltre l’asilo e naturalmente una scuola elementare. Con gli altri compagni difficilmente si fa grande per essere il figlio del primo cittadino della borgata, però la sua strafottenza in certi casi mostra di appoggiarsi sul fatto che la propria famiglia è una di quelle più in vista di tutto il territorio circostante. Anche i rendimenti scolastici non sono troppo eccellenti, e a volte Marco sembra frequentare il liceo soltanto perché, in caso contrario, non saprebbe assolutamente cos’altro fare. La politica ovviamente non gli interessa, e gli argomenti che quotidianamente porta avanti suo padre per il proprio ruolo sociale, sembrano solo annoiarlo. Perciò, quando è stato introdotto quel ragazzo di colore tra tutti quelli che si allenano sul campetto di calcio del rione la domenica mattina, lui si è sentito quasi disturbato, proprio per aver immediatamente compreso che dietro a quella improvvisa presenza c’era per certo suo padre a spingere e a cercare l’integrazione di un giovane migrante nel tessuto della cittadinanza.

            A dirla tutta, Niocke sul campo di gioco non lo ha neppure riconosciuto come figlio del Sindaco, solo perché nessuno ha voluto indicarlo come tale, e Marco peraltro non gli si è mai riferito direttamente, fino ad evitare con accuratezza di parlare del nuovo acquisto della squadra persino con gli altri ragazzi. Il Sindaco ha chiesto a suo figlio qualcosa mentre erano a casa, ma lui è stato evasivo, usando mezze parole, quasi sbuffando per essere trascinato in un argomento che oltre evidentemente ad annoiarlo, sembra oltretutto anche infastidirlo. Gli altri giocatori inizialmente si sono mostrati molto freddi nei confronti di Niocke, ma poco per volta hanno iniziato ad apprezzare alcuni elementi della sua presenza in squadra, fino a giudicarlo, almeno in certe azioni sportive, un apporto prezioso per far diventare il loro un vero gruppo vincente. Qualcuno, forse, in considerazione dei giocatori di colore che affollano normalmente le squadre di calcio delle serie più alte, si è persino sentito orgoglioso di avere tra gli elementi a disposizione un calciatore come lui, e qualche volta, a più di uno, è sfuggito anche un apprezzamento in questo senso, cosa che Marco Rimonti naturalmente ha sempre notato con un crescente disturbo. Ha pensato persino qualche volta di abbandonare la squadra e smettere di giocare al calcio, proprio per mostrare la sua riluttanza all’integrazione, ma poi non ha ritenuto del tutto accettabile ritirarsi così, senza una colpa, soltanto per una ripicca quasi da bambini.

            Poi, uscendo dagli spogliatoi decisamente spartani, il portiere della squadra, con cui è amico da anni, gli dice senza mezze misure che secondo lui Nockie sta migliorando sul campo da gioco a vista d’occhio, e con la sua presenza in squadra sta forzando tutti gli altri a mostrare il meglio di sé stessi. <<È il giocatore che in un attimo scappa velocissimo in avanti nella zona dove ci sono meno avversari, e se qualcuno dei mediani riesce a passargli il pallone proprio in quel momento, le possibilità per segnare sono sempre molto alte>>. Marco lo guarda senza trovare niente da ridire, anche se vorrebbe subito insinuare che quel nero non è capace di guadagnarsi una palla da solo sulle retrovie, e l’unica cosa in grado di gestire è quello starsene lì davanti ad aspettare quel benedetto passaggio giusto, però non dice niente, anche se alza le spalle e ride, come se non avesse niente a che fare con quegli argomenti. L’allenatore nota certe difficoltà, e quando parla a tutta la squadra per stabilire la tattica che serve, è sempre un po’ a disagio cercando di non disturbare oltremodo la sensibilità dei ragazzi. In ogni caso nemmeno uno dei giocatori ha fatto un po’ di amicizia con Niocke, e quando terminano gli allenamenti nessuno si intrattiene un attimo con lui, magari offrendogli un passaggio sul proprio motorino almeno fino alla fermata della corriera.

<<Ti ha mandato qui mio padre>>, gli dice invece oggi Marco mentre escono dalla recinzione. Niocke annuisce, aveva già sospettato che fosse lui il figlio del Sindaco, ma non trova niente da dire, sapendo subito di trovarsi su un terreno un po’ scivoloso. <<So che vorrebbe invitarti a pranzo a casa nostra una domenica, così mi ha chiesto di parlartene>>. Niocke si ferma, lo osserva, poi dice soltanto: <<Non credo sia una buona idea; però ringrazialo, digli che mi sento onorato di questo, anche se non sono nella condizione di accettare>>. Così si ferma per guardare bene Marco negli occhi, e dopo un momento si avvia come sempre lungo la proprio strada.  

 

Bruno Magnolfi

 

giovedì 26 giugno 2025

Compleanno.


            <<Anche stamani vai in biblioteca, immagino>>, dice Teresa a suo fratello mentre è tutta presa nell’imbastire un orlo ad una gonna che le ha portato ieri una vicina di casa. Antonio non risponde, dando per scontato il fatto che, come ogni giorno, farà sicuramente un salto in mezzo a tutti quei libri e quegli scaffali che gli danno immediatamente la serenità, ed anche in considerazione di quanto le parole che ha sentito non sembrano formare propriamente una domanda. <<Farò un passaggio al cimitero, a portare qualche fiore fresco sulla tomba di mamma>>, prosegue lei. <<Magari potresti venire con me>>. Lui sistema alcuni libri da restituire al prestito sopra al tavolo, poi li infila in una borsa di stoffa, e tiene lo sguardo basso, come di chi sta riflettendo, infine dice: <<Andrò da solo, quando ne ho voglia>>, senza aggiungere altro. Sua sorella sa bene che certe volte Antonio passa da là, glielo ha riferito il guardiano del campo santo che lo nota, e poi più di una volta lei ha trovato un fiore semplice dentro al piccolo vaso accanto alla fotografia della loro madre. <<Va bene>>, dice Teresa sempre accondiscendente verso suo fratello; <<in ogni caso proprio oggi sarebbe stato il suo compleanno>>. Antonio si sofferma un momento, torna indietro per prendere il suo solito quaderno deve scrive i propri appunti; quindi, apre la porta di casa ed infine esce.

            Fuori il cielo sembra promettere una giornata piena di nuvole, anche se forse non verrà a piovere, e lungo la strada principale del centro abitato si incontrano le solite persone di ogni giorno. <<Ciao Toni>>, gli dice qualche sfaccendato quando lo nota, ma Antonio tira diritto senza fermarsi, come se non gli interessasse scambiare saluti con chi si dimostra subito pronto a ridere alle sue spalle. Il suo desiderio sarebbe quello di passare dall’officina di Aldo Ferretti dove Niocke ha detto di lavorare come garzone, ma non vuole apparire troppo zelante nel suo progetto di insegnargli a leggere e a scrivere in lingua italiana, così evita quel passaggio, e prosegue verso la piccola biblioteca sempre poco frequentata. <<Ciao Antonio>>, gli dice l’impiegata dietro al tavolo, <<devi restituire questi libri, immagino>>. Lui accenna appena un gesto di assenzo con la testa, poi le mostra un titolo annotato sopra al suo quaderno, spiegando a modo suo che vorrebbe visionare quel testo, se possibile. La bibliotecaria cerca a lungo in mezzo al suo schedario, ed alla fine dice che quel libro non è presente nella loro collezione, e che non ne è neppure prevista l’acquisizione in tempi celeri. <<Non importa>>, dice lui con indifferenza, e poi va a mettersi seduto ad un tavolo riservato ai frequentatori di quei locali. Quindi appoggia sul piano il suo quaderno ed inizia a scrivere qualche appunto.   

            L’impiegata lo lascia fare come sempre, però cerca tra le collezioni un libro che sia affine a quello che le è stato richiesto, magari dello stesso autore, addirittura scritto nel medesimo periodo. Quindi va a sfilare da uno scaffale un testo che sembra mostrare quelle caratteristiche e lo porta da Antonio, per farlo visionare a lui. <<Grazie>>, dice Toni senza mostrarsi neppure troppo contento di quella scelta, ma accettando in ogni caso quanto gli si sottopone. <<Che cosa stai scrivendo?>>, gli chiede allora Barbara, la bibliotecaria del paese, che conosce Antonio e la sua famiglia da molti anni, cercando di non apparire troppo curiosa o persino ficcanaso, ma dando alle sue parole semplicemente il senso di chi desidera solamente fare due chiacchiere. <<Devo insegnare la scrittura ad una persona che non è capace di leggere>>, dice lui quasi sottovoce, come fosse qualcosa di banale. Barbara sorride, gli pare subito un proposito estremamente nobile, soprattutto per essere uscito fuori da una persona che già deve far fronte a parecchi problemi propri, ma un attimo dopo sembra colta da una intuizione, e così va a prendere un altro libro, forse proprio adatto per quel fine.

            <<Ecco>>, dice porgendolo ad Antonio; <<questo libro spiega in parole elementari come si può imparare a leggere e anche a scrivere>>. Lui sembra proprio meravigliato dal fatto che esiste un testo specifico per il suo scopo, così prende il testo nelle sue mani ed inizia subito a sfogliarlo. <<Grazie>>, dice dopo un attimo. <<Sembra sia proprio ciò che mi serve>>. Barbara così torna a sorridergli, e mentre riprende posto dietro alla sua scrivania gli dice che può benissimo usare la biblioteca per svolgere le sue piccole lezioni. Quindi, arriva una donna di una certa età per prendere in prestito un romanzo molto famoso; perciò, Antonio si sprofonda nella lettura e nello studio del saggio che le ha trovato la bibliotecaria. Va avanti così per circa un’ora, poi si fa assegnare il prestito di quel volume così prezioso, lo ripone nella sua borsa di stoffa che porta sempre con sé, ed alla fine esce sulla strada, dirigendosi con calma verso il cimitero, dove oggi desidera andare anche lui a rendere omaggio a quella tomba, in occasione del compleanno della propria mamma.

 

            Bruno Magnolfi

martedì 24 giugno 2025

Umilmente Sindaco.


            Difficile trattenere dentro sé stessi delle opinioni sempre coerenti in ogni periodo della propria esistenza. Da ragazzo intrapresi lo studio della filosofia come base per comprendere e spiegare ogni pensiero sociale, e quindi anche i fondamenti delle discipline politiche. Le cose si annacquarono presto, e le ideologie dell’epoca lasciarono presto il passo ad opinioni divergenti basate maggiormente su dei pilastri economici individuali del tutto indifferenti alle opinioni di massa. I miei studi, da ordinaria persona di provincia, e portati avanti nel capoluogo più vicino dove pareva dovessero avvenire i fatti davvero importanti dell’epoca, mi spinsero presto a tornare indietro e riaccaparrarmi del mio bagaglio culturale formato nel piccolo borgo composto da poche migliaia di abitanti. L’unico sbocco per la mia laurea fu l’insegnamento di materie letterarie all’interno di una scuola media, professione che abbracciai inizialmente con entusiasmo, ma che mostrò presto i propri limiti. Soltanto tardi, all’epoca di un’età già piuttosto matura, quando mi fu offerto dal partito di maggioranza di presentarmi come candidato Sindaco del mio paese, mi resi conto che potevo tirare le fila di tutto ciò che avevo elaborato negli anni dentro la mia testa, e così mi feci forza, portai avanti una campagna elettorale piuttosto intensa anche grazie alla mia posizione lavorativa stimata e molto conosciuta tra i cittadini, ed alla fine venni eletto, tra gli applausi di quasi tutti i partecipanti al voto.

            Poi le cose si spinsero avanti tra una burocrazia insopportabile e la continua necessità di presenziare anche a qualsiasi evento minore, costringendomi a mostrare sempre a tutti grande fiducia nel prossimo futuro ed un notevole ottimismo. Adesso mi chiama il Presidente della mia Provincia e mi convoca per un incontro nel suo ufficio, senza neppure spiegarmi il motivo di questo colloquio. Così vado di nuovo in officina a far controllare la mia auto, visto il viaggio che devo affrontare, e là trovo, insieme ad Aldo che conosco da sempre, il ragazzo di colore che ho instradato al gioco del calcio nella squadra dove gioca anche mio figlio. <<Buongiorno signor Rimonti>>, dice Niocke a bassa voce, tenendo lo sguardo basso, forse per una forma di rispetto che non so neppure riconoscere, e poi attende che intervenga anche il suo capo officina a salutare il Sindaco del proprio paese. <<Vorrei controllare l’olio, e anche la pressione delle gomme>>, dico io dal finestrino aperto della macchina, e subito Niocke alza il cofano ed inizia prontamente a svolgere il proprio lavoro. <<Come vanno le cose con la squadra?>>, gli chiedo anche per farlo parlare, visto che so bene quanto sia sempre chiuso in un suo particolare silenzio. <<Bene, signore>>, fa lui, <<e la ringrazio tanto per tutto>>, spiega in maniera timida mentre tira su l’asta dell’olio. Allora lo guardo, forse vorrei tanto riuscire ad abbattere il muro che purtroppo avverto tra me ed il ragazzo, ma so che qualsiasi gesto di solidarietà verrebbe facilmente frainteso, così mi metto a parlare con Aldo di cose senza troppa importanza, nel mio quasi ridicolo completo grigio, accessoriato da una bella cravatta.

            Dieci minuti, poco di più, e tutto sembra già a posto, ma al momento di andarmene torno un momento da Niocke, e gli dico con voce bassa: <<Non farti mettere in un angolo da dei ragazzi che tra loro si conoscono da sempre, e si sentono superiori solo perché sono in tanti. Non sono migliori di te. Non essere mai arrogante e non mostrarti distante con loro, ma trattali sempre al tuo pari, perché non devono sussistere differenze tra di voi. Siete tutti soltanto ragazzi>>. Niocke fa un cenno di assenzo, lo ringrazia di nuovo, poi si pulisce le mani con uno straccio già molto sporco, mentre osserva andar via quest’uomo probabilmente così diverso da tutti. Chissà quale potrebbe essere la maniera migliore per aiutarlo, penso io, in un mondo attuale quasi sempre proteso verso una gratuita cattiveria. Mi piacerebbe parlare con lui, spiegargli come possa essere difficile mettersi di traverso quando vedi attorno a te delle cose che non sono affatto accettabili. E poi accelerare la sua integrazione, dargli il modo di tirare fuori il meglio di sé, fino ad essere finalmente accettato, anche se il suo comportarsi con gli altri non si mostrasse quello di una richiesta di sottomissione ad un ruolo.

            Torno ad avviare il motore, prendo la strada per il Capoluogo della Provincia, anche se riconosco che se fosse possibile confrontare l’incontro di stamani con Niocke e quello che avverrà tra non molto con il Presidente della Provincia, credo che, come primo cittadino di questa borgata, dovrei dare più importanza al primo piuttosto che al secondo. Dovrò parlare con un avversario politico oggi, che mi dirà cose sgradevoli a cui devo far fronte, e forse mi chiederà conto di qualcosa che per lui non è di troppa soddisfazione, e quindi mi imporrà delle scelte, oppure di tornare indietro su qualcosa già favorito dalla mia piccola amministrazione. Ed io, se ne avrò il tempo e la possibilità, gli parlerò invece di un ragazzo che con dispiacere non sto ancora aiutando come vorrei nel diventare un cittadino come gli altri, proprio come tutti quei cittadini di cui sono umilmente solo il Sindaco.

 

            Bruno Magnolfi        

sabato 21 giugno 2025

Gesto di fratellanza.


            Quando sono in mezzo a questo campo di calcio sto bene. In certi momenti mi sento libero, anche se come sempre mi sento ancora solo; invece, in altri momenti, so che è soltanto con questi ragazzi che stanno giocando insieme a me che posso fare qualcosa di importante per la nostra squadra, in sintonia con loro. Mi chiamano Nicco, quasi tutti, almeno quando devono attirare la mia attenzione per passarmi una palla importante, ma quando poi torniamo negli spogliatoi allora non mi chiamano affatto. Soltanto l’allenatore si rivolge a me quando ci alleniamo o stiamo seduti a riflettere sul gioco, ed io mi lascio dire tutto quello che serve, senza ribattere nulla, cercando sempre di accontentarlo. In officina è diverso: quello che faccio deriva soltanto dalle mie mani, non devo svolgere un ruolo di squadra, compio ogni operazione sempre da solo, anche se mi sento spalleggiato da Aldo Ferretti, il mio capo. Forse è per questo che il Sindaco di questo borgo ha compreso che io avevo bisogno di fare qualcosa insieme agli altri della mia stessa età: per smettere di sentirmi in solitudine, per aprirmi con i ragazzi, per svolgere qualcosa per cui bisogna sentirsi necessari, però tutti assieme, perché si vince o si perde una partita, oppure un torneo, o un girone, con tutto il gruppo, ed ognuno è chiamato a svolgere il suo ruolo sempre in funzione degli altri, quasi come le dita di una nostra mano. Sto imparando poco per volta tutto questo, e mi pare una cosa estremamente importante.

            Poi arriva questo tizio. Gli altri lo prendono in giro, dicono di lui che è tutto matto. A me non sembra, ma non sono certo nella condizione di preoccuparmi per uno così, penso. Ma lui mi viene vicino, mi guarda, non dice nulla, però si vede che ha delle opinioni che gli girano dentro la testa, così non dico niente, abbasso lo sguardo, aspetto che qualcosa succeda. Gli altri ragazzi dopo l’allenamento hanno voglia di divertirsi, così iniziano a dire a voce alta che lui è Toni Boi, e a ridere forte, come se ci fosse qualcosa da ridere in questa situazione. Lui non guarda nessuno, poi urla qualcosa di incomprensibile, resta fermo con un libro dentro una mano, e poi urla ancora, senza alcuna spiegazione, come se rifiutasse tutto ciò che ha attorno. Poi mi viene ancora più vicino, apre il libro, mi fa vedere alcune righe della scrittura del libro, ed io seguo il suo dito che indica con precisione alcune parole, però io non le capisco, non so leggere quelle frasi, nessuno mi ha mai insegnato, così gli dico che non so leggere, non so leggere nella sua lingua. Toni Boi adesso è perplesso, si capisce che stia riflettendo sulla situazione che si è trovato di fronte, e forse ne è dispiaciuto, forse gli sembra la lacuna più grande che ci possa essere per qualcuno che è giunto in questo paese.

            Alla fine, ce ne andiamo tutti, ma lui mi segue, e quando rimaniamo da soli lungo la via, con voce stentata mi chiede verso dove io stia andando. <<Vado al centro immigrazione>>, gli dico, <<devo farmi a piedi diversi chilometri, però è lì che abito, almeno per il momento>>. Allora Toni Boi si ferma, mi porge la mano, ed io la stringo, come si usa fare tra persone rispettose. Poi dice che lui potrebbe insegnarmi a leggere, se ne ho voglia, che in fondo non ci vuole neppure molto, così almeno potrebbe prestarmi dei libri e farmi comprendere l’importanza di quello che ci sta scritto. Annuisco, ma comprendo sempre meno il motivo per cui gli altri ragazzi insistono a prenderlo in giro e a dire che è un pazzo: a me sembra una persona socievole, colta, una che sa perfino cosa serva per uno come me, quasi come il Sindaco di questo centro abitato. Gli dico che lavoro nell’officina di Aldo Ferretti, e lui annuisce a sua volta, ma adesso non dice niente, si ferma, e con un semplice gesto della mano all’improvviso mi saluta, come se fosse già terminato il tempo della conoscenza.

            Devo capire in fretta quali siano le cose che mi servono per essere accolto dagli altri ragazzi della squadra di calcio. E naturalmente devo anche comprendere quali siano quelle che devo rifiutare per non essere additato per sempre come uno diverso da tutti. Saper leggere è importante, rifletto; adesso che ci penso non ho più letto nulla dal tempo in cui stavo in Senegal, ed anche se ogni tanto Aldo Ferretti mi fa vedere qualche libretto istruzioni di una macchina, io mi limito ad annuire, seguendo le piccole immagini che fortunatamente non mancano mai. Forse questa opportunità che sembra volermi concedere di sua iniziativa Toni Boi, cioè quella di imparare a leggere e a comprendere la scrittura europea, e forse anche a scrivere, è una delle cose più importanti che mi possono accadere, penso. Non so, credo che se mi capiterà di incontrarlo ancora gli chiederò di portare avanti il suo progetto: ne sarei contento, potrei dirgli, sarebbe quasi per me un gesto di fratellanza.

 

            Bruno Magnolfi

giovedì 19 giugno 2025

Semplificazione.


            In fondo anche oggi sembra proprio una giornata identica a tutte le altre. Antonio esce da casa per andare nella sua amata biblioteca del paese, un paio di libri da restituire sotto al braccio, la consapevolezza che l’evolversi delle cose descritta in tutte quelle pagine che lui continua a divorare, non stia avvenendo affatto, e intorno alla sua persona, lungo la strada che percorre a piedi e senza alcuna fretta, niente appare differente da ciò che è stato ieri, o magari il giorno addietro. Eppure, sembra avvertire, anche se solo dentro di sé, una consapevolezza nuova, come se qualcosa avesse iniziato finalmente a muoversi, a cambiare, pur in modo nascosto, senza mostrarne una prova evidente. Antonio non saprebbe spiegare il motivo per cui ha iniziato da tanti anni a questa parte a rinchiudersi dentro sé stesso, a non parlare più con nessuno, a mostrarsi diverso da tutti, un matto, come dicono alcuni. Forse gesticola mentre cammina per strada, forse alla sua maniera si esprime con qualcuno, forse porta ancora accanto a sé proprio una figura immaginaria alla quale certe volte sembra riferirsi, e magari gli è sufficiente sapere che c’è questa persona di fiducia al suo fianco, per ritenere superfluo, oppure addirittura inutile, o addirittura dannoso, qualsiasi riferimento ad altri.

            L’incomprensione di tutti nei suoi confronti, denota la sua certezza di avere delle opinioni molto più avanti per i tempi che corrono, ed il fatto che sia del tutto inutile per lui parlarne agli altri, è semplice dimostrazione che tanto il suo punto di vista non verrebbe mai del tutto capito. Sui libri che consulta diverse volte ha trovato descritte le esperienze di individui che per un motivo o per l’altro si sono chiusi al mondo, e Antonio desidera essere uno di loro, una persona che medita e riflette su tutto, come preparandosi a delle rivelazioni improvvise, rivelazioni che sembrano però sempre destinate ad essere procrastinate ad altri periodi futuri. In biblioteca l’impiegata come sempre lo saluta, accoglie i libri in prestito che lui restituisce, si lascia citare i volumi che vorrebbe consultare in questo momento, come se non li avesse già spulciati in altri momenti e in altri periodi, come se quelle fossero ai suoi occhi delle pagine del tutto nuove. E forse è così: in mezzo alle righe della scrittura è sempre possibile trovare nuovi spunti, frasi sibilline colte in maniera un po’ superficiale, oppure non comprese affatto, quasi che gli occhi e la mente bramassero di continuo il risultato finale di una frase, di una pagina, di un intero libro, senza soffermarsi per il tempo opportuno su ogni piccolo elemento magari un po’ sfuggente ad una interpretazione ben corretta.

            Antonio, con una vecchia matita, prende costantemente degli appunti su dei fogli singoli che ripiega su sé stessi e ripone in una tasca. Prima o dopo riordinerà tutto il materiale che sta mettendo insieme, darà un senso a tutto il suo leggere e consultare, e poi lo mostrerà a qualcuno, farà vedere il risultato dei suoi studi, e la teoria finale che sarà in grado di dimostrare sarà la prova che il suo tempo non è mai stato sprecato, anzi, ha avuto tutta l’importanza che meritava, fin dagli inizi. Si guarda attorno e si sente bene, a posto, sa che il suo compito non può essere che quello, ed anche se chi lo incontra lungo la strada spesso pensa di lui che è soltanto un povero svitato, prima o dopo dovrà ricredersi sulle sue capacità, davanti alla dimostrazione chiara del suo preciso percorso mentale. Tra tutti i cittadini di questa frazione di provincia, probabilmente Antonio si sente quello che più di ogni altro lavora per ottenere una definizione vera e accettabile di futuro, qualcosa che sia la soluzione chiara a quanto proprio non sta andando per il verso giusto.

            <<Suo fratello non è pazzo>>, aveva detto la dottoressa Lari della clinica psichiatrica a sua sorella Teresa, mentre Antonio riusciva ad origliare la loro conversazione grazie ad una porta rimasta socchiusa. <<Indubbiamente è stato preda di una forte e lunga depressione, e così per sopravvivere si è inventato una scatola quasi chiusa agli altri, dove impasta continuamente delle idee e tanti pensieri>>. A lui era quasi piaciuta quella definizione detta in parole povere, anche se Teresa aveva compreso che sarebbe stato difficile farlo tornare ad una accettabile normalità. Normalità, una parola del tutto insensata al giorno d’oggi, ma che significava nella testa di sua sorella che non avrebbe avuto bisogno degli altri per tirare avanti. <<Non si può fare molto affidamento su di lui: appare sfuggente, lunatico, certe volte irresponsabile, però con il tempo ci sono delle possibilità di miglioramento>>. Così Teresa aveva preso gli incartamenti che la dottoressa Lari le aveva preparato, ed era uscita da quell’ambulatorio, trovando suo fratello ancora seduto, con gli occhi bassi, nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato. Eccolo l’errore principale, avrebbe voluto gridarle lui in quel momento: credere che niente sia destinato a cambiare, e che tutto sia definitivamente in questa maniera. Ma era rimasto in silenzio, forse per una scelta che semplificasse le cose per tutti, magari anche per lei.

 

            Bruno Magnolfi

martedì 17 giugno 2025

Cammina.


            Cammina; cammina, continuava a ripetersi lui nella testa. Non sai cosa ci sarà alla fine di tutto, però tu devi camminare, e trovare un piccolo lampo di luce in mezzo alle tenebre. A Niocke piacerebbe descrivere il suo lungo viaggio, parlare di tutte le sofferenze subite, scrivere o far scrivere a qualcuno il proprio diario, giorno dopo giorno, attimo per attimo, ma è ancora presto, deve togliersi ancora da dosso questa vergogna, questo senso di umiliazione che ha riservato la vita a persone come lui, nate forse nel luogo più sbagliato di tutti per poter aspirare ad un’esistenza normale. Solo questa parola gli batte ancora dentro la testa, adesso, continuamente: cammina; cammina, senza voltarti, che la tua debolezza sarebbe la fine per te. Solo un puntino insignificante nel mondo, che si muove attraverso paesi di cui non conosce un bel niente, che la maggior parte delle volte rifiutano gli individui che cercano un modo qualsiasi per sopravvivere, a meno che quegli ultimi della terra non abbiano qualcosa da scambiare direttamente con la propria vita: dei soldi, dei maledetti soldi che tutto riescono a comprare, persino il futuro. Non avrebbe mai immaginato, Niocke, di ritrovarsi a smontare dei pezzi d’automobile in un piccolo centro abitato d’Europa, questa terra osservata certe volte da piccolo su qualche cartina geografica, adesso sotto di sé, su cui può camminare, o fermarsi, o percorrere in qualsiasi direzione desideri, e poi proseguire a ritenersi già fortunato per avere avuto un’opportunità così per andare avanti, per mostrarsi finalmente persona, e non più un semplice numero senza alcun riferimento preciso.

            Con Aldo non parla molto: lascia che lui gli spieghi con qualche gesto e poche parole ciò che deve fare stamani, domani, o in questo momento, e Niocke lo fa, non può essere altrimenti, non c’è da chiedere altro, solo eseguire in silenzio, e intanto incamerare dentro di sé le informazioni su tutto ciò da cui è circondato: come si comportano le persone che giungono nell’officina, come sono costruite le macchine che lui e Aldo prendono in carico per essere riparate, e quella piccola soddisfazione che giunge quando un motore scarburato riprende alla fine a girare come un vero orologio. Nessun sorriso, nessun orgoglio, nessun bisogno di essere definito bravo, quando sa bene di non essere ancora capace a far bene moltissime cose: cammina; cammina avanti, la strada è ancora lunga e difficile, e ancora non si vede un vero punto d’arrivo, solo qualche piccola tappa intermedia, che non sarà mai essenziale nei confronti di tutto il resto. Poco per volta qualcuno sta accettando la sua presenza nel piccolo centro abitato: ancora ridono in molti, dicono qualcosa che Niocke non riesce del tutto a comprendere, ma che a lui in fondo neppure interessa, perché gli basta conservare la propria espressione sempre seria, quella di chi ha tutto ancora da perdere, anche soltanto per esprimere un debole sorriso, per mostrare il compiacimento per qualcosa che sembra sempre sfuggirgli.

            Niocke cammina, il percorso della sua esistenza ha ancora molta strada davanti, e lui è consapevole che fino a quando non sarà in grado di comprendere a fondo l’animo delle persone che si trova di fronte ogni giorno, quelli che lo guardano, lo studiano, che elaborano un parere, per formarsi immediatamente dopo un giudizio, senza neppure che lui dica niente, ecco, non sarà ancora una vera persona, soltanto un ragazzo di colore, piovuto qui chissà come, forse solo a mostrare un segno dei tempi. Aldo Ferretti, con la sua officina sporca, però sempre efficiente, è un uomo scorbutico ma senza alcun pregiudizio. Forse ha compreso benissimo ciò che corre veloce dentro la testa di Niocke, e a lui forse non interessa neppure troppo sapere quali siano i suoi propositi, i suoi desideri, oppure i suoi sogni: c’è da svolgere del lavoro qua dentro, sostituire una marmitta forata, registrare le valvole di un motore che fuma troppo, cambiare l’olio o le candele sotto al cofano di una vettura che appare quasi esausta, sfinita di chilometri e di giri di cinghia, ma si possono far camminare ancora quelle sue ruote, ed è questa la speranza di tutti e per tutto.

            Anche troppo presto è giunto quell’invito a giocare al pallone con gli altri ragazzi di quel piccolo centro abitato: ancora Niocke non sa quale comportamento sia il caso di adottare in mezzo a quelle persone che lo guardano fuori dal campo, non sa come verrà giudicato, non sa se sia il caso di mostrarsi al meglio di sé, oppure se mettersi umilmente al servizio degli altri, come un gregario senza troppe capacità individuali; però sa che molte cose dipendono da ogni suo gesto, da qualsiasi piccola azione sarà capace di mostrare o meno agli altri giocatori. Lui conserva la propria espressione seria, senza alcun compiacimento nelle cose che compie. E poi cammina, continua sempre a camminare, perché è questa l’unica vera attività che prima o dopo potrà portarlo ad acquisire quella personalità che adesso nessuno desidera regalargli: lui è soltanto un povero immigrato, un diverso, e sa che è appannaggio solamente di Niocke comprendere quali possono essere i passi migliori da compiere per diventare davvero semplicemente persona.

 

            Bruno Magnolfi

domenica 15 giugno 2025

Detto tra i denti.


Lui si reputa una persona semplice, uno che bada alle cose essenziali, senza farsi mai attrarre dai contorcimenti mentali che vanno tanto di moda per qualcuno di sua conoscenza. Lavora da sempre in un’azienda agricola poco lontano dal paese, e nel poco tempo libero che si ritrova disponibile si siede in un locale senza pretese e butta giù un bicchiere di vino insieme ad altri operai come lui, all’ora serale in cui le attività in campagna normalmente vengono sospese. Poi torna a casa, perché tra tutti i suoi pensieri è la famiglia quello che ha sempre avuto una posizione centrale. Non parla molto, gli piace scambiare con sua moglie soltanto alcune parole essenziali, quelle che sono in grado di dimostrare da sole già molto dell’umore che regna nella propria mente, e che sono capaci, con delle semplici domande poste a sua moglie, di evidenziare ciò che magari sta girando anche in quella di lei. <<Ho incontrato Leo>>, dice parlando di un conoscente da cui poco tempo fa loro due hanno acquistato una bella automobile, ma di seconda mano. <<Ha detto che questa macchina ha sempre fatto un piccolo rumore strano ogni tanto, e che non ci sia niente di cui preoccuparsi>>. Teresa annuisce, lei ha conseguito da ragazza la patente di guida, che poi ha anche rinnovato, però ha sempre preferito lasciare a suo marito il compito di occuparsi della vettura di famiglia e anche della sua conduzione, specialmente quando capita di fare qualche giro assieme durante la domenica, oppure quando devono andare ad acquistare qualcosa nella città più vicina. <<In ogni caso sarà bene parlarne con Aldo dell’officina, e sentire che cosa ne pensa>>.

Poi ognuno rientra nel proprio silenzio, almeno fino a quando torna a casa anche Antonio. Lui normalmente non parla con nessuno, meno che mai con qualcuno in famiglia, e gli unici scambi di occhiate con sua sorella sono soltanto per dire di sì, oppure di no, quando lei gli chiede per esempio se stasera desidera mettersi a tavola con loro, oppure portare il suo piatto nella propria stanzetta, e restarsene lì, da solo, come ultimamente sembra preferire. Carlo non si riferisce mai a lui, e prosegue perennemente a fingere di abitare in quella casa soltanto in due, lui e sua moglie. Di fatto non riesce a concepire la mancanza completa di attività utili per Antonio, se non quel girellare assurdo per tutto il giorno tra le strade del paese, con le uniche soste, certe volte anche piuttosto prolungate, nei locali della biblioteca. Secondo Carlo lui è furbo ed intelligente, e con facilità prende in giro chiunque, al punto da giocare al personaggio del matto pur di non occuparsi di nulla, se non di quei libri che prende in prestito e che sembra proprio leggere tutti dall’inizio alla fine, blaterando tra sé che dobbiamo impegnarsi tutti quanti per migliorare il futuro. Teresa su questo non si esprime, cercando continuamente la mediazione migliore tra loro due, senza mai lamentarsi di niente, quasi con indifferenza a tutto, lei si occupa della casa e che porta avanti un lavoretto di sarta che svolge tra le mura domestiche, autonomamente, e in genere soltanto la mattina.

Quei pochi soldi che hanno avuto in eredità dalla loro mamma, Teresa e suo fratello, naturalmente li gestisce tutti lei, ed anche se tiene fede a ciò che aveva promesso a sua madre sul letto di morte, cioè di occuparsi in prima persona del suo fratello più sfortunato, di fatto si è fatta un conticino in banca soltanto a proprio nome, e da lì comunque cerca di non ritirare mai nessuna cifra, come fosse quasi una dote, oppure una riserva, o anche una garanzia per il futuro, qualsiasi esso sia, di cui usufruire solamente nel caso in cui Antonio ne dimostri l’effettiva necessità. È evidente che anche su questo aspetto Carlo non sia affatto d’accordo, anche se si vede costretto ad accettare almeno per adesso questa soluzione, nonostante ogni tanto torni a dire che se potesse spendere almeno qualcosa di quei contanti, le faccende di casa sarebbero migliori. <<Per esempio, avremmo potuto acquistare una macchina nuova, invece di accontentarci di questa già usata>>, dice in modo che il suo punto di vista appaia chiaro sia a Teresa che ad Antonio. I motivi per sollevare delle questioni in famiglia perciò sono molteplici, ed è evidente così che sia il marito che la moglie, quando sono assieme, si trovino ad esprimere il minimo delle parole possibili tra di loro, proprio perché si rendono conto ambedue di muoversi su un piccolo campo minato, pronto ad esplodere in qualsiasi momento.

Nell’osteria che frequenta solitamente Carlo, tutti sanno quali siano i pensieri che affliggono questo brav’uomo, anche se c’è sempre qualcuno di loro che tra una bevuta e l’altra inserisce qualche piccola uscita di sarcasmo, che lui generalmente fa scivolare via con la propria bonarietà e tolleranza. Però è nel momento in cui giunge qualcuno a ricordargli che poco distante c’è il solito Toni Boi ad urlare contro i suoi compaesani, che Carlo Verdini si sente montare di nuovo il sangue al cervello: <<Qualche volta lo strangolo, quello lì>>, dice tra i denti, anche se nessuno dà retta a queste parole.

 

Bruno Magnolfi  

giovedì 12 giugno 2025

Allontanarsi.


Sto fermo in un angolo, tra le case, e guardo davanti a me lo spiazzo del campo sportivo, dove i ragazzi corrono avanti e indietro per fare allenamento. Le persone come sono io generalmente se ne fregano degli altri, ma per me è diverso: io vado sempre a caccia di variazioni, di spiragli, di indicazioni, piccoli rivelatori di quel cambiamento a mio parere necessario al giorno d’oggi. Uno tra loro ha la pelle molto scura, non lo avevo mai notato in paese, forse è un ragazzo arrivato tra noi da poco, un immigrato capitato qui chissà in quale maniera. Mi avvicino alla rete perimetrale, e noto che qualcuno si volta a guardarmi, ma per ora tutti quanti non dicono niente, non mi prendono in giro come sempre, forse perché c’è il loro allenatore là in mezzo che controlla il comportamento di ciascuno. Giocano una partita di calcio adesso, e il ragazzo di colore sembra correre più forte di tutti sopra al campo di terra, come se fosse nato soltanto per fare quello. Si avvicina a me dalle spalle un uomo che conosco di vista, sorride senza guardarmi, e infine dice: <<Ciao, Toni Boi, non sapevo che ti interessassi anche del calcio. Sembra che abbiamo un nuovo acquisto tra le fila della squadra, uno che corre forte, e che magari sarà capace di variare le sorti del torneo tra squadre>>.

Annuisco, in fondo è vero che non mi interesso di questa disciplina, però sono incuriosito da questo ragazzo nuovo, mi pare quasi che possa già portare in mezzo agli altri una buona ventata di aria nuova. Non c’è da urlare, non c’è da strepitare come faccio sempre quando sono in mezzo a tutti: qui c’è qualcosa su cui riflettere profondamente, un elemento nuovo dal quale potrebbero emergere dei miglioramenti per la nostra cittadinanza, quella spinta fondamentale a progredire, a far evolvere i sentimenti più opportuni per mettersi finalmente alle spalle un periodo triste e negativo come questo. <<Sembra che giochi piuttosto bene>>, dice ancora l’uomo; <<Con un po’ di allenamento probabilmente riuscirebbe a tirare fuori il meglio da quei piedi e quelle gambe. Certo, non è uno di noi, però se tutto ciò potesse servire allo scopo di far scalare la classifica del torneo ai nostri colori, sarebbe sicuramente una buona cosa >>. Mi scosto dalla rete, non voglio sentir parlare ancora questo tizio che riesce soltanto a esprimere delle banalità: dobbiamo impegnarci tutti per il miglioramento generale, cambiare poco per volta i fondamenti sociali, progredire dal punto di vista dello stare assieme, mica vincere qualche partita di calcio con i ragazzi del paese.

     Mi allontano: avrei voluto sapere qualcosa di più di questa persona di colore, comprendere da dove viene, come vive, cosa si aspetta da un posto come questo; ma non sarà facile per uno come me, deriso da tutti come sono, riuscire ad avere delle notizie di questo genere. Però credo che un piccolo passo verso il cambiamento sia stato già compiuto con l’assorbire nel tessuto sociale della nostra cittadina un individuo così diverso; spero che a nessuno venga a mente di provocargli dei problemi. Percorro la strada che porta verso la piazzetta principale, e poi mi fermo vicino ad una panchina, come per aspettare che qualcuno si avvicini e che parli delle novità che oggi si sono viste in giro. Passa un po’ di tempo, ed alla fine un gruppetto di quei ragazzi che fino a poco prima giocavano al calcio, mi sfiora senza guardarmi. Camminando dicono qualcosa su quel nuovo arrivo nella squadra, e sembrano tutti d’accordo nel considerarlo senz’altro un loro estraneo: <<Fossi stato l’allenatore non lo avrei proprio invitato in campo>>, dice uno di loro. <<Se al prossimo appuntamento decide di tornare, io credo che non mi farò più vedere per un po’ di tempo>>, dice un altro. <<È evidente che corra più forte di noi, ma lui è cresciuto dentro alla savana, dove non hanno altro che le gambe per muoversi da un posto all’altro, sono abituati>>. Poi tutti ridono, come se farsi grandi con certe banalità fosse un principio di condivisione di tutte le opinioni possibili.

Urlo adesso, emetto suoni senza significato, come sempre, disturbo chi mi sta vicino, faccio in maniera che tutti si allontanino, che mi tengano a distanza, mi additino come il matto del paese, soltanto perché non riesco ad essere d’accordo con quello che mi tocca di ascoltare. Infine, arrivano due uomini che già conosco, uno è il sindaco del nostro paese, l’altro è l’allenatore dei ragazzi. <<Ciao, Toni Boi>>, mi fanno. <<Tu non parli mai con nessuno, ma sicuramente hai un’opinione precisa su quel ragazzo di colore che da qualche tempo si vede in giro. Forse, se ci impegniamo tutti quanti, riusciamo anche a farlo sentire accolto, a creargli attorno quasi una nuova famiglia, visto che è da solo. Però ci vorrà del tempo, ogni cosa procederà per gradi, anche se è evidente che riusciremo prima o dopo a farlo sentire quasi a casa, proprio come uno di noi, un nostro vero concittadino>>. Poi i due ridono, come avessero detto tra loro qualcosa di spiritoso, ed io sull’immediato avrei quasi voglia di ricominciare ad urlare ancora, anche se poi mi limito soltanto ad allontanarmi.   

 

Bruno Magnolfi

martedì 10 giugno 2025

Sintonia con altri


            L’allenamento dei ragazzi, dopo un primo riscaldamento costituito da una semplice e lenta corsa fuori dalle linee di fondo campo, sembra adesso procedere con qualche incertezza: i giocatori parlano tra loro, qualcuno ride senza prendere troppo sul serio il loro allenatore, e gli esercizi ginnici ripetuti per sciogliere al meglio i muscoli che servono sul campo da gioco, sembrano una vera noia prima di iniziare finalmente a toccare il pallone con i piedi. Oltre la rete perimetrale del rettangolo di terra battuta, interrotta da qualche filo d’erba qua e là, Niocke osserva i suoi coetanei con le loro invidiabili magliette colorate, senza che nessuno, tra coloro che si muovono avanti e indietro su quello spiazzo alla fine delle case, lo abbia minimamente notato, almeno fino adesso. Vengono poi distribuiti i palloni, ed i ragazzi, divisi in coppie, iniziano a scambiare dei passaggi a breve distanza, cercando di mettere in mostra ognuno le proprie abilità di piede. È a quel punto che l’allenatore si avvicina alla rete, osserva per un attimo Niocke, e quindi gli dice, scandendo bene le proprie parole, che qualcuno gli ha parlato del suo desiderio di giocare al calcio, e visto che oramai si trova lì lo invita ad indossare un paio di scarpette che può trovare negli spogliatoi, e di farsi vedere sul campo.

            Lui è serio, le scarpe usate che trova gli vanno un po’ strette, ma è disposto a qualsiasi sacrificio pur di imparare qualcosa di nuovo e di conoscere qualcuno che non sia un cliente dell’officina dove lavora durante tutta la settimana. L’allenatore, che tutti chiamano Ronni, almeno quando i ragazzi si riferiscono a lui direttamente, ma che nel momento in cui si trova più lontano e non può sentire viene subito soprannominato Brontolo, gli dice di fare una bella corsa al bordo del campo, mentre tutti, pur continuando a palleggiare, ovviamente lo osservano. Niocke, appena si mette in movimento dimostra subito un’elasticità delle gambe invidiabile: agli inizi corre senza avere una gran fretta, proprio come aveva visto fare agli altri, ma poi accelera, poco per volta, mostrando facilmente le sue innate capacità di corridore. Dopo sei o sette giri di campo così, Ronni lo fa avvicinare: non sembra neppure affaticato, e non ha neppure una goccia di sudore sopra la fronte. L’allenatore allora gli passa un pallone, e lui, pur senza mostrare delle abilità particolari, dimostra subito di aver giocato al calcio già parecchie volte, magari soltanto per ridere oppure per divertirsi, evidentemente in quella parte di mondo da cui proviene.

            Scambia dei passaggi con uno dei ragazzi di fronte, si impegna a non perdere mai di vista quel benedetto pallone, e lo tiene vicino al piede, quando lo sta controllando, come se da quella capacità dipendesse poi tutto il resto. Quindi tutti i ragazzi si spostano verso una delle due porte del campo, e l’allenatore fa muovere i giocatori, uno per volta, in modo da riuscire ad effettuare un tiro a rete con il massimo di precisione e di determinazione. Lui non sembra molto efficace in questo, ma è questione di tecnica, con un certo numero di lezioni potrebbe migliorare moltissimo, visto che adesso dimostra di giocare quasi solo per istinto. Alla fine della mattinata, quando Ronni permette a tutti di disputare una breve partita dividendo i ragazzi in due squadre, a Niocke viene dato il ruolo di difensore, ma quando il pallone arriva proprio dalla sua parte, lui si slancia subito in avanti, sviluppando così la sua corsa notevole, e mentre controlla la sfera nei confronti dei suoi avversari, in un attimo si avvicina alla porta dell’altra squadra. Poi cade, dopo uno scontro un po’ duro con uno dei ragazzi, ma quello che forse voleva dimostrare in un attimo è apparso subito chiaro. Ronni allora lo sposta al ruolo di attaccante libero, e qui lui mostra di essere maggiormente a proprio agio.

            Quando poi smettono, l’allenatore, pur senza complimentarsi direttamente con lui, gli dice che se vorrà svolgere qualche allenamento ulteriore, probabilmente in seguito potrebbe farlo giocare nella squadra del paese, e Niocke lo ringrazia, senza mai sorridere comunque, e abbassando poi lo sguardo come ha imparato a fare da un bel po’ di tempo. I ragazzi gli chiedono il nome, quando sono tutti negli spogliatoi, ma poi continuano a ridere e scherzare tra di loro, come sempre. Ovvio che non sarà facile per lui, e soprattutto ci vorrà del tempo, e anche pazienza, prima di potersi sentire davvero in squadra insieme a tutti; però, almeno per adesso, nessuno lo ha deriso per essere un ragazzo con la pelle scura, anche se il figlio del sindaco stamani non si è fatto avanti, non si è fatto riconoscere, forse per non essere additato lui stesso per aver trascinato un immigrato a giocare al calcio insieme a loro. Niocke è paziente, gli pare già un gran passo avanti per lui aver potuto condividere con altri ragazzi della sua stessa età una piccola passione come quella del calcio. Più avanti conoscerà meglio tutti quanti, e magari potrà addirittura entrare in sintonia con qualcuno di loro.

 

            Bruno Magnolfi  

domenica 8 giugno 2025

Calmo equilibrio.


Mi parve che tutto cambiasse, in quei giorni confusi, persino da un attimo all’altro. Mio fratello appariva già notevolmente assente nei confronti della nostra famiglia, ma la grave ed improvvisa malattia di nostra madre dette una specie di mazzata definitiva ai nostri reciproci tentennamenti circa le strade da prendere nel futuro. Io ero più grande di Antonio, svolgevo già un lavoro di dipendente come ragioniera, e frequentavo un fidanzato con cui uscivo ogni tanto, in maniera comunque non troppo assidua. Ciò che io e mia madre fino a quel momento avevamo preso scarsamente in considerazione invece, e cioè quella personalità chiusa e contemporaneamente strampalata di mio fratello, divenne nell’arco di quel breve lasso di tempo la nostra più grande preoccupazione. Lei fu ricoverata in ospedale, ed iniziò una serie lunghissima di fasi alterne durante le quali pareva proporci, con il suo stato di salute, delle piccole speranze che venivano presto ed ogni volta spazzate via dalla realtà dei fatti. Antonio intanto appariva quasi indifferente a tutto questo, o meglio, con un probabile grande sforzo su sé stesso, riusciva a mostrare un atteggiamento quasi distaccato dalla sofferenza altrui, anche se riuscivamo facilmente ad immaginarne la propria falsità di fondo. La mamma, sdraiata nel suo letto, mi disse, mentre lui non c’era, che la sua più forte preoccupazione era che il suo figlio maschio trovasse in qualche modo una collocazione stabile. <<Dovrai pensarci tu>>, disse con un fiato, senza troppo guardarmi, ed io annuii, anche se replicai subito che le mie speranze e quelle di tutti erano riposte naturalmente nella sua guarigione da quella brutta malattia, e che certi discorsi apparivano quindi del tutto prematuri.

Se Toni comunque in quel periodo era apparso un ragazzo un po' strano, da quei momenti in avanti lo fu ancora di più: smise del tutto, dopo aver saltato interi periodi, di frequentare la scuola dove era stato iscritto dalla mamma, ed i suoi orari di uscita da casa iniziarono ad essere i più imprevedibili, tanto da alzarsi dal letto durante la notte, certe volte, e sgattaiolare fuori per chissà dove, forse lungo le strade deserte del nostro paese, fino quasi al mattino. Inutili con lui i rimproveri o le preghiere: Antonio pareva posseduto da una volontà che non riusciva neppure lui a controllare, e ogni occasione pareva buona per stupirci con i suoi incomprensibili comportamenti. La mamma, avvertita da me della sua condotta inusuale, provò più di una volta a parlargli, spiegando con un filo di voce che la situazione richiedeva pazienza da parte di tutti, e che c’era la necessità nella nostra famiglia di darci un minimo di regole per conservare una certa integrità, ma lui sembrava perennemente attratto da qualcos’altro, al punto da non ascoltare nessuno, e quindi neppure nostra madre. Naturalmente proseguiva a leggere i libri che trovava presso la biblioteca pubblica, e solo quelli in qualche maniera parevano dettargli pensieri e comportamenti adeguati al momento.

La mamma poi si spense in un giorno qualsiasi, in ospedale, durante una chemio, dopo che erano trascorsi quasi due anni, senza che ci fossimo troppo accorti che s’era verificato un certo peggioramento delle sue condizioni. I medici ci avevano già avvertito che non si sarebbe verificato un miracolo, e che le cure degli ultimi tempi erano state ridotte soltanto a dei forti antidolorifici e ad alcuni palliativi. Ugualmente a me parve di perdere tutto assieme lei, e quando ci fu il funerale dalla forte emozione che provai ebbi uno svenimento da cui mi ripresi soltanto mezz’ora più tardi. Antonio rimase in silenzio, come assente. Osservò ogni gesto di ciò che veniva compiuto, fino alla chiusura della cassa ed al seppellimento; quindi, si allontanò da tutti, e dal cimitero tornò a casa da solo. Il mio fidanzato fu molto presente in quei momenti, e fu capace persino di confortarmi in qualche modo, e nel giro di poche settimane, anche per superare il momento, iniziammo a parlare di matrimonio e di trasferirci, io e mio fratello, nella sua casa piuttosto spaziosa e con una stanzetta adatta ad Antonio. 

Antonio non si oppose, anche se chiese di avere con sé tutti i libri della vecchia casa, chiudendoli lui stesso in scatoloni di cartone per trasferirli senza rovinarli. Ma subito dopo iniziò a dare segni di vero squilibrio, tanto da non concedere molta sicurezza per sé stesso e per gli altri. Urlava, parlava da solo, si chiudeva per intere giornate in un profondo silenzio, e quando riemergeva dal suo stato pareva spossato ed indifferente a chi gli stava attorno. Il nostro medico prese delle rapide informazioni, e dopo poco fu internato in una clinica piuttosto distante, dove curavano i gravi stati di depressione delle persone come lui, e per un po’ di tempo parve che le cose potessero migliorare, anche se alcuni gesti inconsulti nei confronti di altri pazienti mostrarono l’impossibilità di poterlo riavere nella nostra famiglia in tempi troppo rapidi. Il periodo di degenza, perciò, si allungò sempre di più, fino a quando Antonio parve finalmente trovare un proprio calmo equilibrio.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 5 giugno 2025

Profondo malessere.


            Lei tornava sempre a casa con dei quaderni dalle copertine colorate, dove i bambini della sua classe avevano svolto i loro piccoli compiti che adesso erano da riguardare e da correggere. Un’insegnante di scuola elementare, d’altronde, deve analizzare attentamente le tracce visibili di ogni alunno per comprendere appieno quasi siano le sue difficoltà, i suoi errori, le sue incomprensioni, in maniera da riuscire in poco tempo a correggerle e a farle superare senza altri problemi. Antonio provava una certa invidia in quegli anni per quegli scolari così fortunati da essere guidati per mano da una maestra tanto attenta e premurosa, ed insieme avvertiva una certa gelosia che sembrava far capolino dai propri sguardi sfuggenti, tanto da odiare, in certi giorni mentre osservava lavorare l’insegnante, proprio quei piccoli quaderni che venivano passati e ripassati sul piano del tavolo del soggiorno, al vaglio dell’esperienza della sua mamma. Era come se esistessero in quei momenti due persone distinte, la madre di famiglia, e l’insegnante, e lui, mentre la notava far scaturire da dietro gli occhiali da brava educatrice quegli occhi buoni e comprensivi della mamma, si sentiva dilaniato, tanto da buttarsi a capofitto su tutti i libri che in casa sua aveva la possibilità di poter leggere, più per mostrarsi dedito allo studio e capace di ampliare la sua traballante cultura, che per un interesse vero per le diverse materie, o per la narrativa che scorreva nervosamente con i propri occhi.

            La dimostrazione che Antonio poteva essere superiore ad ogni altro bambino della scuola, a parte la differenza di età, era data a suo parere direttamente dalla propria piccola esperienza nell’incamerare moltissime informazioni sul talento innegabile nella scrittura dei tanti autori che era in grado di affrontare, tanto da rileggere più di una volta quei libri di casa, ed impararne i diversi linguaggi. Sua madre si accorgeva della sua bramosia di sfogliare con avidità tutte quelle pagine che trovava sugli scaffali della libreria di casa, ma non le pareva un elemento negativo, e così, fingendo poco interesse per l’attività di suo figlio, mostrava indifferenza per quella passione che Antonio voleva dimostrare. I pomeriggi dei primi tempi, quindi, scorrevano quasi tutti in questa maniera, senza che avvenissero delle vere e proprie variazioni, fino a quando, finalmente, l’insegnante chiese ad Antonio quale fosse il libro che aveva apprezzato di più, e per quale motivo. Lui era pronto a rispondere, si era preparato per mesi a quel tipo di domande, ed adesso si sentiva proprio di padroneggiare la materia. Disse alla fine che li amava tutti, per un verso o per l’altro, ma che per i suoi gusti comunque preferiva i romanzi classici, magari scritti nei primi del Novecento. La mamma sorrideva: erano buone letture quelle che faceva suo figlio, rifletteva con consapevolezza, e gli argomenti di quei libri gli avrebbero senz’altro aperto le idee.

Però qualcosa, ad un tratto, nella testa di Antonio iniziò a girare per il verso sbagliato. Lui sembrava, almeno in apparenza, disinteressarsi delle attività di sua madre, gettandosi a capofitto in quei libri sempre più difficili e voluminosi, fino a quando iniziò a prenderne in prestito qualcuno nella piccola biblioteca del paese. In questo spostarsi da casa per infilarsi in un ambiente dove difficilmente si faceva vedere qualche altro semplice utente, lui trovò all’improvviso la sua vera dimensione: stava da solo, soprattutto, e non c’erano in giro i quaderni degli alunni di sua madre. E leggere e basta, là dentro, nel silenzio degli scaffali colmi di libri, era davvero ciò che aveva sempre desiderato. Aveva circa quindici anni e la sua attività andò avanti per parecchio tempo, tanto che i due bibliotecari che si alternavano per svolgere tutte le funzioni di cui c’era bisogno, avevano già cominciato col dire per scherzo che uno di quei giorni avrebbero dato le chiavi ad Antonio per entrare a suo comodo dentro gli ambienti della biblioteca, senza la necessità della loro presenza. Quando gli parlavano però, già Toni Boi aveva iniziato a non ascoltarli: gli rimbombavano nella testa le parole che leggeva, e gli pareva che il mondo orami non avesse alcun senso fuori da quei locali e senza le pagine di quei libri.

Fu in quel periodo che sua madre iniziò ad ammalarsi, o almeno ad avere dei sintomi poco piacevoli di quel male che lentamente le avrebbe tolto qualsiasi possibilità per portare avanti la sua famiglia, il suo mestiere, e la sua vita. Toni inizialmente non si preoccupò molto di quello che stava avvenendo, forse perché era abituato a pensare a sua madre come ad una persona invincibile, pronta a trovare la maniera più impensabile per sconfiggere ogni insidia. Ma quando fu ricoverata d’urgenza in un ospedale piuttosto lontano dal loro paese, allora le cose cambiarono. Sua sorella prese subito le redini della casa, e quando andarono a trovare la loro mamma i due fratelli trovarono una persona cambiata, ormai quasi incapace di lottare per la sua salute, e allora tutto parve d’improvviso crollare. Antonio si chiuse subito in un silenzio assoluto, ed i suoi libri in quel periodo furono l’unico sfogo al suo profondo malessere.

 

Bruno Magnolfi   

martedì 3 giugno 2025

Da tanto tempo.


            <<Non lo so>>, dice Niocke proseguendo con calma ad allentare i due dadi che sostengono la cartuccia del filtro dell’olio di una vecchia Fiat “Uno”, mentre si trova in officina al disotto della vettura sorretta dalla piattaforma di sollevamento. <<E da quando non hai più notizie della tua famiglia?>>, gli chiede Aldo Ferretti a bassa voce, che ha assunto questo ragazzo come apprendista da circa un mese, capitato nella sua cittadina per un puro caso, ma di cui ogni tanto vorrebbe sapere qualcosa di più, anche solo per metterlo maggiormente a suo agio. <<Due, o tre mesi>>, risponde Niocke parlando senza guardarlo e con un accento stentato, senza smettere di lavorare, ma senza mostrare alcuna emozione apparente. Aldo comprende che non deve essere facile avere diciassette anni così, e ritrovarsi in qualche parte del mondo a compiere delle attività che servono soltanto alla propria sopravvivenza, senza nessuno intorno a sé a cui affezionarsi davvero. Lo hanno portato da lui alcuni responsabili di un centro di accoglienza per immigrati di età minorile, attiva in una diversa cittadina poco distante, e Niocke, immigrato dal Senegal chissà in quale maniera e con quante sofferenze, in pochissimo tempo si è trovato proiettato in questa modesta officina di provincia per compiere le poche cose che aveva imparato in qualche maniera nella sua Nazione, e che qui riesce comunque ad esercitare senza troppi dubbi ed errori. Forse è un po’ poco per farlo affezionare davvero al mestiere di meccanico, ma in ogni caso lui sembra metterci impegno, anche se il motivo di molti tra tutti i gesti che compie non riesce ancora neppure a comprenderli.

            Aldo nei suoi confronti ha cercato inizialmente di tenere un comportamento da duro, tipo: <<ti dico cosa fare, e tu lo fai>>, ma in pochi giorni si è subito ammorbidito, considerando la situazione di un immigrato come questo ragazzo non certo facile. Ovvio, gli sta insegnando qualcosa, e Niocke poco per volta incorpora nelle sue mani quelle istruzioni che gli vengono date, anche se già sapeva come funziona un motore, a cosa servono certi ingranaggi, come si trattano poi alcune parti. La sua pelle è scura, e inizialmente qualcuno tra i tanti clienti dell’officina aveva avuto da sorridere trovandolo lì a lavorare con Aldo, come se non fosse all’altezza per svolgere le funzioni di cui era stato incaricato. Al Ferretti però non importa affatto di quello che possono pensare i suoi compaesani di questo ragazzo e dell’opinione che certe volte mostrano di avere tutti quanti su queste persone immigrate dall’Africa: a lui serviva un apprendista nella sua officina, e adesso è lì, che lavora con lui, e divide la sua giornata composta semplicemente da chiavi inglesi, da grasso per ingranaggi, dal montaggio e dallo smontaggio di piccoli e grandi elementi che costituiscono ogni apparato, e lo fa in silenzio, senza commentare mai nulla, apprezzando ciò con cui prende dimestichezza poco per volta, come se non ci fosse altra strada di fronte a sé, se non quella di impegnarsi a fondo in ogni gesto richiesto, e lui fosse intenzionato a percorrere tutta la via, senza distrarsi.

Il sindaco del paese si chiama Ettore Rimonti e possiede una vecchia Ford duemila diesel, tanto che ogni tre o quattro mesi passa dall’officina del Ferretti per farla revisionare e mettere a punto. Quando si accorge che c’è quel ragazzo di colore a lavorare con Aldo, si interessa subito di lui, naturalmente sapeva già della sua presenza in paese, ma adesso che lo conosce direttamente sembra contento, e così gli rivolge qualche domanda, complimentandosi con il capo-officina del fatto di aver preso un apprendista così giovane e sveglio. Poi dice qualcosa ad alta voce di suo figlio, sottolineando che ha quasi la medesima età di Niocke, e del fatto che gioca al pallone in una squadra locale, e che forse potrebbe dare una mano al giovane operaio per fargli conoscere gli altri ragazzi della propria squadra. Niocke, con un po’ di fatica, comprende perfettamente alla fine ciò che gli si sta offrendo, e così spiega con parole stentate che durante la domenica successiva sarà sicuramente presente all’allenamento che si terrà nel campo di calcio poco distante. Il sindaco gli batte una mano sopra la spalla, gli sorride, e poi, quando va via, conferma che avvertirà di tutto quanto suo figlio.

Quindi riprende a lavorare in silenzio, e a fine giornata insieme al Ferretti rimette al suo posto tutti gli utensili usati dai due, facendo anche un po' di pulizia sui pavimenti dell’ambiente e sul piano del bancone dove si maneggiano gli organi più piccoli. Quando sta per salutare il suo datore di lavoro, Aldo gli dice in due parole che è una buona opportunità quella che gli ha offerto il sindaco, considerando che è una persona influente, con tante conoscenze in qualsiasi settore. Niocke annuisce; grazie, dice senza mostrare apparenti emozioni, ma quando se ne va per rientrare nel suo dormitorio, ha voglia di sorridere, forse per la prima volta, da tanto tempo a questa parte.

 

Bruno Magnolfi

sabato 31 maggio 2025

Trascorrere del tempo.


            Aldo Ferretti è un tipo taciturno, ombroso, in qualsiasi situazione sempre con la faccia seria, a meno che non beva un bicchiere o due insieme agli amici giù all’osteria, dove in genere fa una sosta non troppo lunga prima di rientrare a casa sua poco prima dell’ora di cena. Le sue mani sono sempre scure, macchiate, certe volte anche unte di grasso, ed anche se le lava a lungo nel lavabo della sua officina, non tornano mai del colore naturale della carnagione. Lui ripara le macchine, cambia l’olio al motore, si prodiga a riparare tutto quello che per usura è destinato a rompersi, e nel paese chiunque possieda un’automobile, di qualsiasi marca essa sia, prima o dopo fa un salto da lui. Certe volte si ritrova anche a pulire gli iniettori del motore di qualche macchina agricola, o a fare delle semplici saldature sui sostegni di un carro, di un erpice, o anche di un vomero, anche se ciò che più lo appassiona è mettere a punto e a regime qualche motore un po’ scarburato, oppure andato completamente fuori di sintonia, tanto da farsi dire da qualcuno, in modo leggermente ironico, che solo lui in paese possiede delle preziose mani d’oro. Lavora, si rende utile per gli altri, trova comunque impossibile e deplorevole che ci siano delle persone che si disinteressano dei piccoli problemi dei propri concittadini, e che vivono nel proprio egoismo senza trovare la maniera migliore per rendersi utili. Per questo Aldo quasi non sopporta quel Toni Boi, suo cognato; perché lui sta a rimorchio degli altri, e mette in tavola i propri problemi senza contribuire mai a qualche soluzione.  

            Naturalmente tutti lo conoscono, qualcuno passa anche dalla sua officina solo per fare due chiacchiere, anche se Aldo Ferretti ascolta gli altri mentre lavora, ma difficilmente trova qualcosa da dire a sua volta. Le sue parole concrete sono le cose che compie, ciò che riesce a riparare o a mettere a punto, il resto secondo lui è soltanto un po’ d’aria di gola. Anche quando si ferma a fine orario nella solita bettola, certe volte con indosso ancora la sua tuta da lavoro, si beve un sorso di vino rosso in piedi al bancone e intanto ascolta chi sta dicendo qualcosa, come se quella fosse la sua naturale fonte di informazioni su come vanno le cose là attorno. Molto spesso qualcuno paga per lui la sua bevuta, ma per Aldo non fa differenza: lui tratta gli altri tutti alla stessa maniera, senza piegarsi a ringraziamenti o a comportamenti di favore nel momento in cui rimette il conto finale di qualche intervento compiuto sulla macchina di uno oppure di un altro. Se poi qualche sventurato che non segue troppo gli eventi del proprio paese gli chiede qualcosa su Toni Boi, lui non risponde, lascia che l’argomento decada, che ogni domanda trovi la propria risposta in colui che l’ha appena formulata. Se invece, mentre si trova nella piazzetta del paese ad ascoltare qualcuno, è proprio quel Toni Boi che si avvicina al gruppetto, allora, senza dire niente a nessuno, è subito pronto ad andarsene.  

            Non intende avere qualcosa a che fare con suo cognato, pur riconoscendo i suoi gravi problemi mentali; tuttavia, crede che in lui non esista un benché minimo briciolo di buon senso. Si lascia accudire, si accontenta della minestra che gli viene passata in una casa non sua, se ne sta da solo ogni sera nella propria stanzetta, semplicemente a sfogliare qualcuno dei suoi libri, e poi trascorre tutta la giornata girellando per le strade del paese senza combinare niente di niente. Secondo il suo parere è soltanto un parassita, considerando che di cervello ne avrebbe, e se solo volesse, potrebbe tranquillamente trovare un’occupazione leggera che lo riabiliti agi occhi di tutti i cittadini che lo conoscono. I libri a cui si dimostra tanto affezionato, poi, sono quelli che aveva collezionato quando era viva sua madre, che non gli faceva mancare mai niente, compresi quegli inutili volumi che adesso servono soltanto ad ingombrare l’appartamento in cui viene ospitato. La moglie di Aldo non vuole sentire suo marito quando dice qualcosa su suo fratello: sono stati piccoli assieme, loro due, hanno spartito una vita semplice da bambini, poi, quando lei si è sposata, lui è rimasto con la loro madre che intanto invecchiava, ed anche se Antonio fingeva di occuparsi di lei e di far funzionare la casa, in realtà aveva già cominciato a dare dei segni di scarso equilibrio mentale.

            Quando la loro madre è morta, a lui è venuto a mancare il fulcro attorno a cui girava tutta la propria giornata, ed anche se il suo più grande rifugio in quel momento era rimasto lo sprofondarsi nella lettura e nella consultazione di tutti quei libri che la mamma gli aveva permesso di comprare e ordinare a dozzine, ugualmente la sua mente non era riuscita a spingersi avanti e a superare quel lutto. Per questo, in considerazione di tutto, sua sorella si era vista costretta a rivolgersi a quella clinica dove Antonio, in periodi diversi e vicini tra loro, aveva trascorso proprio un sacco di tempo.     

 

            Bruno Magnolfi

giovedì 29 maggio 2025

Opinione precisa.


            Spesso, noi del paese, ci fermiamo a parlare, o a discutere, insomma a dire la nostra, lì in piedi, subito fuori dall’osteria dove si gioca a carte e si beve qualcosa, e quasi sempre, mentre stiamo davanti al locale, ma senza dare noia a nessuno, e siamo tutti impegnati a dire le cose così come le pensiamo e come ci escono dalla bocca, ecco che arriva immancabilmente Toni Boi, come lo abbiamo soprannominato, che ci interrompe con i suoi urli e quegli strepiti quasi insensati. Da ragazzo era uno qualsiasi, Antonio si chiama, uno di noi, che stava forse sempre un po’ troppo attaccato alla gonna di sua madre, e non veniva mai a giocare con gli altri ragazzi della sua età, e tutti si pensava che fosse timido, che non avesse l’indole o il coraggio per buttarsi un po’ in fuori e mostrare davvero come era fatto. Non ci siamo mai preoccupati per lui, neppure un pochino, perché non dava l’impressione di essere uno diverso da tutti, uno che si sarebbe dimostrato quello che è oggi, un mezzo pazzo, una persona ormai adulta che non serve a niente e a nessuno, ed è solo capace di dare noia ai suoi concittadini. Già, perché Toni Boi ci viene vicino, in silenzio, si accosta al nostro gruppetto mentre siamo intenti a parlare di qualcosa e a scambiarci le nostre opinioni, e poi comincia ad urlare.

            Qualche volta l’ho tirato da una parte, gli ho chiesto: <<Ma che c’è? Cos’è che non ti va bene in quello che stiamo dicendo? Perché ci interrompi con i tuoi strepiti che non servono a niente?>>, ma lui non risponde in questi casi, anche se, quando si calma, spiega con poche parole che in pratica stiamo tutti sbagliando comportamento, e che l’unica maniera per salvarci da questa rotta di collisione quasi inevitabile per tutti quanti, è cercare di cambiare, e sforzarsi per essere migliori, magari abbandonando le proprie opinioni, e per far questo dobbiamo imparare ad essere critici, sia con noi stessi, che con tutti gli altri. Noi non sappiamo dove abbia imparato questi concetti, ma quelle volte che si mette a spiegarci le sue opinioni restiamo quasi sbalorditi, anche se naturalmente non possiamo essere d’accordo con lui. E poi preferiamo di gran lunga prenderlo in giro, battergli una mano su una spalla e chiedergli con ironia se in questo tratto di strada abbia trovato molte persone che si cono mostrate all’improvviso convinte delle idee che lui professa.

            Ma Toni Boi non ride, non riesce ad avere lo spirito che potremmo credere di instillargli; prende tutto sul serio, ci osserva solo di sfuggita con i suoi occhi sempre senza un punto preciso verso dove posare lo sguardo, e poi ripete la sua teoria: l’autocritica, il migliorarsi, la salvezza per il mondo, tutte cose che ormai abbiamo imparato a memoria dalla sua voce. Sappiamo tutti che da quando è morta sua madre lui non c’è più stato con la testa, e sappiamo pure che ha trascorso dei lunghi periodi in una clinica psichiatrica, dove purtroppo gli specialisti non riuscivano a fargli ritrovare un po’ di equilibrio mentale. Qualcuno tra di noi ha ancora paura dei suoi urli e delle sue sfuriate, ma in generale tutti si sono resi conto che non è affatto pericoloso, perché è soltanto fissato su certi argomenti, e secondo il suo parere tutti dovremo presto fare i conti con quello che afferma. Noi però non gli crediamo, alziamo le spalle e tiriamo avanti, facciamo dei sorrisetti di compatimento quando parla, oppure continuiamo a parlare tra noi, ma le sue parole difficilmente sono buttate là a caso, si sente benissimo che hanno un proprio senso, una base, quasi una filosofia che le sostiene.

            <<Non ci interessa migliorare>>, gli dice certe volte qualcuno di noi per stuzzicarlo. <<Potremo stare qui per anni a parlare e a discutere, dando dimostrazione di una cosa oppure dell’altra, portando degli esempi e richiamando alla mente fatti e situazioni già accadute nel passato o poco fa, ed ognuno alla fine rimarrebbe comunque della stessa opinione che aveva avuto fino ad un attimo fa, senza cambiare mai di una virgola>>. Si fa silenzio. <<Il fatto più importante di tutti>>, si cerca di spiegargli, <<è che ci sono sempre delle ragioni di fondo per cui una persona ha un’opinione sul mondo invece di un’altra, ed è impossibile che usando delle semplici parole si possa adesso scardinare quel proprio modo di vedere le cose>>. Toni Boi resta ancora in silenzio; ci guarda con quella sua maniera nervosa di girare gli occhi da ogni parte, poi si allontana di un passo, prende fiato, muove le braccia, e alla fine si mette ad urlare, come se gli avessimo detto che non c’è niente da fare, che nessuno potrà cambiare mai il proprio stato, e che l’unica maniera di stare al mondo è quella di adattarsi a quello che offre. Se ne va, senza salutare, come fa sempre, immerso nelle sue idee, nei suoi pensieri, nella sua strana capacità di osservare le cose e di farsene una sua precisa opinione.  

 

            Bruno Magnolfi

martedì 27 maggio 2025

Pensiamo all'attualità.


            Torno a casa mia. Cioè, a casa di mia sorella e di suo marito. Da quando sono uscito dalla clinica psichiatrica loro hanno preparato una stanzetta per me nel loro appartamento, ed io vado lì a dormire ogni sera, anche se durante il giorno spesso sono in giro ad ascoltare le persone che incontro. Non so quanto tempo sono rimasto nella clinica, credo parecchio, visto che in quel periodo sono successe un sacco di cose. Prima avevo una casa dove abitavo con mia madre. Ma lei si è ammalata di tumore al polmone, e nel giro di poco tempo se n’è andata, così io ho perso molto del mio equilibrio, e mia sorella mi ha fatto curare da alcuni specialisti in un ospedale di cui adesso non ricordo quasi nulla, neppure il nome. Comunque, prima dell’ora di cena torno sempre da mia sorella. Lei non parla mai di mia madre quando ci sono io in giro, probabilmente per la paura che solo a sentirla nominare a me prenda di nuovo una crisi, e anche tutte le fotografie della famiglia, che un tempo erano in bella vista sopra il ripiano di una cassettiera, sono improvvisamente sparite. Non ha importanza, credo, io quando sono nell’appartamento di mia sorella sto sempre per conto mio, in silenzio, spesso nella mia stanzetta. Mia sorella è capace di usare piccole dosi di autocritica, e quindi correggere i propri comportamenti, come nel caso delle fotografie e cose del genere. Suo marito no. Lui forse neppure mi sopporta, anche se intasca volentieri la mia piccola pensione di invalidità.

            <<Potrebbe anche lavorare, no?>>, dice certe volte a mia sorella con una voce sufficientemente alta da farsi sentire anche da me. A me sinceramente piacerebbe stare in un posto dove poter dare delle indicazioni alle persone che cercano un certo ufficio oppure che hanno da far sistemare una pratica. Ma mia sorella dice che è presto, dobbiamo aspettare che gli specialisti diano una loro risposta positiva su questa faccenda. Ed io sto in silenzio, e in casa non mi occupo praticamente di niente, più che altro per paura di sbagliare. Quando vado in giro sorrido a parecchi tra coloro che incontro, e certe volte mi lascio coinvolgere in qualche gruppetto dove stanno fermi a parlare e a discutere di qualche argomento. E quando qualcosa non mi sembra stia andando per il verso migliore, allora urlo. In molti mi conoscono, almeno di vista, sanno chi sono, e certe volte hanno già sentito la mia teoria sul possibile miglioramento del genere umano tramite la pulizia interiore dai pensieri e dai sentimenti peggiori. <<Tutti, dobbiamo impegnarci>>, dico urlando certe volte. <<Spurghiamoci da questo bisogno irrazionale di violenza>>, ripeto senza attendere neppure che qualcuno dica che è giusto quello che affermo, oppure no. Poi me ne vado, lascio alle mie spalle la mia opinione, il mio metodo per correggere poco per volta tutte le brutture che appaiono sempre più spesso, anche se sono quasi sicuro che nessuno mi prenderà troppo sul serio.

            Difficilmente mi capita di ridere. Certe volte qualcuno che incontro si mette a fare lo spiritoso e a girare verso di me delle battute poco edificanti sulle donne, oppure sulla miseria che opprime certe persone. Mi sembrano degli argomenti offensivi e privi di ogni significato, così neppure li prendo in considerazione. Non urlo, in questi casi, non lascio a nessuno la soddisfazione di farmi cadere in dei tranelli che non portano da alcuna parte. Mi volto e ignoro risolutamente chi cerca di dire cose del genere. Siamo tutti in una stessa barca, penso spesso, e dobbiamo trovare la maniera migliore per far procedere le cose in modo da stare tutti assieme senza che a qualcuno capiti di cadere al di fuori del bordo. Quando vado a fare i controlli periodici sulla mia salute, i medici si meravigliano sempre delle mie capacità di essere lucido e pronto con opinioni di questo genere. Ma certo, penso io, ho passato un lungo periodo di depressione, di incapacità a tirarmi fuori da quel grumo di pensieri negativi e pessimisti che non mi lasciavano procedere, ma poi ho recuperato, ed anche se non mi giudicano ancora abile per lavorare e svolgere attività ordinarie, ciò non significa che io non abbia ripreso a riflettere sul mondo così come facevo quando ero un ragazzo e stavo con la mia mamma.

            Ma nella piccola città dove viviamo è difficile far comprendere una cosa del genere a degli individui che sanno scaldarsi soltanto quando c’è da far emergere la propria opinione. Non riescono a capire che tutto deriva dalla loro incapacità nel mettere in forse quelle proprie stesse opinioni. Non si deve essere convinti di qualcosa senza aprirsi alla critica e accettare il fatto che è possibile sbagliare. Perché è soltanto così che possiamo trovare la sintesi di tutte le differenze che si sono accumulate negli anni tra di noi. Credo che si potrebbe persino chiudere gli occhi per qualche momento e azzerare tutto, senza ripensare alla storia o riferirsi a dei personaggi che hanno agito e vissuto in epoche diverse dalla nostra. Pensiamo all’attualità, dico certe volte. E poi basta. 

 

            Bruno Magnolfi