Mio padre sul cantiere è sempre inflessibile. Io al contrario non faccio
mai il duro con nessuno: sul lavoro ci vado quando posso, ed in genere mi
faccio vedere giusto per controllare che tutto proceda secondo il progetto
generale, e che le norme di massima siano rispettate dagli operai e dai vari
subappaltatori. Lui no; lui si fa vedere spuntando fuori all’improvviso, ed è
come se buttasse tonnellate d'acqua su tutto quanto, fino a riempire la grande
vasca, per cui chi sa nuotare, oppure si arrangia in qualche modo, riesce alla
fine a mantenersi a galla, ma tutti gli altri inevitabilmente precipitano sul
fondo, con la pancia gonfia e gli occhi sgranati dal terrore.
Ho sempre paura quando sto con lui; paura che se la prenda anche con me in
quelle occasioni, magari per come ho trattato alcune cose, o come ho gestito
certe lavorazioni, o per come mi riferisco direttamente ai lavoranti; così
quando c’è mio padre da queste parti, se posso io resto in ufficio, oppure me
ne vado in giro per conto mio con qualche scusa generalmente più che
plausibile. Perciò, quando gli operai mi vedono arrivare sono sempre un po’
rilassati: sanno che non sto arrivando insieme con mio padre, e quindi mi
salutano, alzano la mano come per un gesto di pace, sorridono, mi trattano con
confidenza. Non mi piace, potrei anche innervosirmi per questo, anche se poi
non lo faccio, perché vorrei essere preso maggiormente in considerazione, anche
se alla fine penso non si può avere proprio tutto, ed è così che poco per volta
lascio correre, e se nessuno ha timore dei miei modi, alla fine vorrà dire che
non ha poi molta importanza.
Poi un caposquadra mi ferma: ingegnere, mi dice, i ferraioli nelle armature
di questi pilastri hanno tirato un po' via, ma tanto nel pomeriggio si faranno
le gettate e così non si vedrà più un bel niente e tutto sarà a posto. Sorride,
io sorrido a mia volta, mi viene subito la voglia prepotente che tutto sia
finito, prima che arrivi mio padre, e che io possa andarmene da lì senza
vederlo, perciò annuisco, mi fido di questo caposquadra, andrà tutto bene, sono
sicuro non ci saranno dei problemi. Oggi mio padre penso non venga, gli dico,
ma subito mi pento di avere detto cosi: si può fare quasi come si vuole,
riprendo con ironia, ma oramai mi rendo conto di aver detto qualcosa di
profondamente sbagliato. Difatti quello mi guarda con serietà, ma poi prende le
mie parole proprio sul serio, perciò ride come senza motivo, e mi tocca anche
il braccio, a dimostrazione che basta un gesto e una consapevolezza per
sentirsi esattamente dalla stessa parte.
Vorrei non essermi fatto vedere sul cantiere, vorrei adesso avere
l'autorità per controllare minuziosamente tutte le armature, vorrei che tutto
scorresse come sull'olio, senza dare alcun problema, e forse alla fine mi
piacerebbe anche che mio padre fosse qui, a preoccuparsi lui di tutte queste
cose. Mi volto, mi pare di non aver compreso qualcosa, ma gli operai invece
hanno capito perfettamente che oggi lui non verrà sul cantiere, e battono la
fiacca, si muovono lentamente, fanno il minimo di ciò che dovrebbero combinare.
Mi assento un minuto, giro sul retro, e poi alla fine telefono a mio padre.
Quando arriva io me ne sto andando, gli operai mi guardano da lontano. Forse mi
reputano un traditore, uno che fa il doppio gioco, e questo sinceramente mi
dispiace. Però non potrei essere quello che sono, se non fossi parte di una
squadra schierata.
Bruno Magnolfi