Mi hanno
telefonato in questi giorni scorsi alcuni colleghi dall'ufficio, naturalmente
anche per chiedere notizie sulla mia salute, ma soprattutto per avere qualche
informazione aggiuntiva su quanto stavo portando avanti ultimamente sul mio
posto di lavoro. Sembra, a detta loro, che presto sarò definitivamente
sostituito, ed io sospetto che ci sia già una persona che abbia occupato il mio
posto in modo irrevocabile, e che per me al mio rientro verranno riservate
altre diverse attività e
mansioni rispetto a quelle che ho rivestito in tutti
questi anni. Non so se sia una notizia positiva, mi spaventa dover imparare
qualcosa di nuovo, occuparmi di argomenti che esulano del tutto dalle mie
assodate abitudini. Per adesso comunque il dottore dice che non posso rientrare
in ufficio, e che per un tempo ancora da definire devo cercare di dimenticare
il lavoro, e pensare a tutt'altro. Però non ho molti argomenti a cui dedicarmi,
e le giornate da trascorrere in casa con le pantofole ai piedi mi sembrano a
volte interminabili.
Mi sono reso
conto che ci sono pochissime cose che mi legano al mio posto
in pubblica amministrazione, se non le consuetudini, ed anche per quanto
riguarda i colleghi, nessuno di loro posso considerare diversamente da una
conoscenza puramente occasionale, anche se con alcuni ho lavorato insieme per tanti
lunghi anni. Però tutto ciò non mi interessa neanche
molto in questo momento. Dovranno cambiare molte cose, continuo a ripetermi
quando mi guardo allo specchio per tagliarmi la barba; molte di più di quelle che
mi vengono prospettate. Dovrò cambiare comportamento, inserirmi nelle nuove
funzioni lavorative con uno spirito completamente rinnovato, ed affrontare i
colleghi e le attività con un atteggiamento totalmente diverso.
Nella serata poi
mi sono deciso ad uscire di casa, considerato che per una malattia come la mia
non si applica il protocollo della visita fiscale con gli orari di rispetto, e
quindi posso considerarmi molto più libero, anche se dovrei tenermi il più
possibile a riposo. Mi è venuta voglia di farmi un giro a piedi, e così ho
preso un mezzo pubblico fino alla piazza principale della mia città. Mi sono
guardato attorno, e mi pareva quasi di avere la possibilità di incontrare da un
attimo all’altro qualcuno di mia conoscenza, ma non è stato così. Ho vagato a
lungo senza una meta precisa, poi sono entrato in un caffè, e mi sono seduto ad
un tavolino. Nell’alveo delle indicazioni riguardo la mia sindrome, ho ordinato
al cameriere una camomilla, e mi sono lasciato subito avvolgere dal caldo della
tazza e dal vapore che emanava la bevanda.
Quando è entrata
nel locale la mia collega di lavoro con alcune sue amiche, subito è venuta
verso il mio tavolo, e mi ha stretto la mano sorridendo con sincerità, anche se
forse avrebbe addirittura voluto darmi un bacio affettuoso. E’ la stessa con
cui avevo fissato un appuntamento, qualche tempo fa, tirandosi indietro proprio
all’ultimo momento, forse per paura che altri impiegati venissero a sapere della
faccenda. Mi ha chiesto della mia salute, mi ha fatto i suoi auguri migliori,
poi mi ha chiesto più sottovoce il mio numero di telefono di casa, ed il
permesso per chiamarmi, dettagli che le ho fornito con immediatezza. Forse
qualcosa inizia già a cambiare, ho pensato; e dopo cinque minuti sono uscito da
quel bar per tornarmene a casa.
Bruno
Magnolfi
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