Sono io, dico al mio fratello rientrando. Poi mi
muovo dentro la stanza per cercare qualcosa di cui non ho una memoria precisa,
ma che so essere nascosto in uno degli angoli, anche se adesso non so ricordare
quale sia. È come se precedentemente, in uno stato come di forte dormiveglia,
avessi sistemato rapidamente le mie cose in diversi luoghi dentro il mio
appartamento, quasi escogitando dei ripostigli momentanei per oggetti, ma di
cui adesso non trovo più traccia all’interno della mia mente. Non ha
importanza, dico a voce alta, prima o dopo tutto quanto spunterà di nuovo alla
luce del sole, mostrando così che il corredo su cui può contare una persona quale
io sono, è qualcosa che ognuno porta sempre con sé.
Mi rannicchio sopra una sedia nel tentativo di
concentrare le mie residue energie, poi all’improvviso ho la coscienza esatta
di essere osservato, anche se sono da solo. Il mio fratello gemello dentro lo
specchio mi osserva con il suo occhio onnipresente, e per la prima volta sento
che in qualche modo provo come la necessità di sfuggirgli. In fondo ho tutto il diritto di starmene da solo
rifletto; anche oggi ho trascorso una giornata di lavoro in ufficio immerso in
una congerie di colleghi senza alcuno scrupolo, pronti a scherzare tra loro e a
ridere di me per qualsiasi sciocchezza.
Mi affaccio alla finestra del mio appartamento:
fuori le persone lungo la strada e i marciapiedi sembrano muoversi come ogni
giorno, ognuna persa dietro alle proprie preoccupazioni. Vorrei che qualcuno
dei passanti che camminano sotto di me si voltasse d’improvviso all’insù, e mi
salutasse magari riconoscendomi. Potrei mettermi a parlare del più e del meno
sporgendomi sul davanzale, spiegare che a me va tutto bene in questo momento,
che mi piace osservare il traffico della serata, che in questo mio appartamento
al terzo piano mi sento benissimo, è proprio la casa che va bene per me. Poi mi
rendo conto che nessuno mi nota, nessuno si volta a guardarmi, e questa mia
finestra è anonima, quasi come tutte le altre in questo quartiere.
Rientro, chiudo le imposte, torno a piazzarmi
seduto nell’attesa che mi venga un’idea, che un’illuminazione mi indichi dove
possa trovare quello che ho perso. Mio fratello gemello purtroppo è ancora lì,
che mi guarda, ed io non ho quel coraggio che serve per prendere la cornice con
tutto lo specchio e gettarla una buona volta fuori dalle mie stanze, giù dalla
finestra, senza alcuno scrupolo. Non è semplice convivere con qualcuno che si
limita a guardarti da una superficie lucida e chiara: certe volte vorrei
sentire la sua voce, ascoltare le sue strenue opinioni, discutere, porgli
qualche domanda e sentire quale risposta possa riceverne. Si fa presto a
rinchiudersi dentro ad un piccolo oggetto e starsene lì, senza mai mettersi in gioco.
Lo prendo allora, e volto lo specchio sul tavolo.
Che cosa mi importa ritrovare le cose di cui non so
proprio che farne, rifletto. Vado a guardare in cucina per vedere se manca
qualcosa, e così avere una buona scusa per uscire ed arrivare fino al negozio
giù all’angolo. Nella credenza trovo così le chiavi di riserva della mia
utilitaria. Sono inconfondibili, legate da un laccio di cuoio che forma una
specie di nodo. Le ho sempre tenute in una cassetta di legno fornita di ganci e
attaccata sul muro vicino alla porta di entrata. Qualcuno si diverte a
spostarmi le cose rifletto; oppure sono io stesso che senza rendermi conto di
niente, continuo a sistemare le cose in luoghi diversi dal solito.
Decido di uscire comunque, un po’ d’aria non può
farmi che bene, ma quando sono con la mano sulla maniglia sento un forte rumore
alle mie spalle; per un attimo mi guardo attorno stupito, poi riesco a rendermi
conto di cosa stia succedendo: è il mio fratello gemello dentro allo specchio
che si è proprio stufato di starsene lì, sopra al tavolo, senza alcuna
prospettiva di fronte.
Bruno Magnolfi
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