Le giornate ultimamente
sono tutte identiche tra loro. I medesimi gesti, le solite cose, le esatte
parole da usare con le stesse persone. Ogni momento praticamente è la
fotocopia esatta di un altro momento del giorno appena trascorso, ma con minori
dettagli in evidenza, una risoluzione già più grossolana, approssimativa. Fingo
indifferenza di fronte alla noia, e cerco di sorridere meditando intorno alle
cose che già conosco, che rimando regolarmente a memoria. I miei colleghi di
lavoro mi guardano, probabilmente avvertono nel mio sguardo sfuggente la
sofferenza che ho fatto ormai propria, anche se poi inanellano qualcuna delle loro
solite battute di spirito, e tutto per un attimo sembra come lasciato dietro le
spalle, dimenticato.
Sto fermo alla mia
scrivania, e mi pare impossibile accondiscendere all’obbligo di trascorrere
tutte queste ore così, senza che nulla susciti almeno una briciola di vago entusiasmo.
Gli altri naturalmente sono già davanti alle macchinette per il caffè a
scambiarsi qualche superficialità senza alcun impegno di sorta, ed io proseguo
a raschiare la carta dei documenti che devo trattare per puro mestiere, senza
decidermi ad altro, se non guardare ogni tanto lo spicchio di cielo che si
intravede da questa finestra: nuvoloso, sereno, grigio, piovoso, solare.
Quando poi esco dal
palazzo dove sono allocati gli uffici, mi sembra tutto diverso nello spazio appena
di un attimo, anche se poi l’andamento della giornata riprende rapidamente il
suo corso ordinario con variazioni praticamente impercettibili. Tutti quanti
noi strisciamo rapidamente il tesserino magnetico nella macchinetta, poi ci
scambiamo giusto qualche saluto, ed infine nel parcheggio della pubblica
amministrazione mettiamo in moto ognuno la propria automobile, lasciando altri
allontanarsi a piedi o in modo ancora diverso.
Mi ferma un collega
prima che esca da sotto la sbarra automatica, io abbasso il finestrino della
mia utilitaria, e lui spiega rapidamente qualcosa che mi lascia perplesso. Mi
chiede se posso dargli un passaggio, visto che stamattina lui ha portato la sua
vettura in officina a revisionare, ma la sua domanda appare strana perché ci
sono altri impiegati con cui generalmente lui si intrattiene in modo più
amichevole di quanto faccia solitamente con me. Lo invito a salire, comunque, gli
chiedo dove abbia bisogno di essere trasportato, e lui mi indica una strada
effettivamente poco distante da dove abito io. Poi mi parla di un periodo poco
felice, di difficoltà di tipo economico, di qualcosa che gli è andato storto ed
anche altre cose del genere.
Continuo a guidare
mentre ascolto con attenzione tutti i discorsi che il mio collega continua a
sviscerare senza fermarsi, aspettando il momento in cui magari decida di
smettere, e mi conceda la possibilità di affrontare un argomento meno pesante,
ma quello insiste, seguita a elencare tutte le proprie sventure, ed alla fine
mi chiede con decisione un prestito di denaro. Ancora prima che possa
rispondergli, mi confida che per lui sarebbe una vera boccata di ossigeno, come
si dice, ed io mentre fermo la macchina tenendo le mani ormai irrigidite
attorno al volante, gli rispondo: “va bene, ma soltanto per una metà della
cifra richiesta, perché non ho altri fondi che quelli”. Lui mi ringrazia, dice
che già lo sapeva che ero il migliore, sorride, mi stringe la mano, poi se ne
va, fissando per il giorno seguente la consegna dell’assegno promesso.
Bruno Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento