Il bambino sale ancora una volta la piccola scala dello
scivolo nei giardinetti di quel quartiere, anche se oramai non ride quasi più
mentre si lascia scorrere per quell’attimo di tempo che dura il divertimento
lungo la breve striscia metallica ben levigata. Suo padre, seduto sulla
panchina vicina, legge senza interesse qualche articolo di un vecchio giornale
che ha trovato là sopra, quasi per sentirsi impegnato in qualcosa. Il
pomeriggio pare portarsi avanti con una certa lentezza, come se persino la
vegetazione del piccolo parco cittadino mostrasse indolenza, con le foglie
gialle degli alberi ed i rami scheletrici, rispetto alla misura del tempo.
"Mattia", inizia a dire l'uomo per richiamare l’attenzione del suo
bambino; "ultimo giro e poi ce ne andiamo", gli fa, con una voce che
cerca di tranquillizzarlo. Suo figlio, nonostante forse si stia già annoiando,
sembra però quasi non ascoltarlo: "questo è il mio spazio” pare che pensi,
"ed anche se non mi diverto quasi per niente a giocare da solo così,
questo è comunque il massimo che posso ottenere da una giornata qualsiasi, senza nessuna novità".
Il padre piega il giornale e quindi lo lascia
esattamente dove lo ha trovato, poi va incontro a suo figlio, che si rialza in
piedi dopo l’ultima identica discesa, e con rassegnazione e lo sguardo un po’
basso prende la mano che gli viene offerta. “Mio papà da quando è disoccupato
passa molto tempo con me”, sembra pensare mentre tornano verso casa; “però non
ha più voglia di ridere come qualche volta accadeva”. Lui sta aspettando da
tempo almeno una risposta positiva da qualcuna di quelle aziende alle quali ha spedito
le carte con l’elenco preciso delle proprie esperienze, ma tutto per lui sembra
come sospeso. Domani andrà di persona in un posto che gli hanno indicato, e dignitosamente, a chi vorrà ascoltarlo, spiegherà che oramai è arrivato agli
sgoccioli, non ce la più a tirare avanti con un figlio piccolo da
crescere, senza un lavoro.
Forse gli diranno le solite cose,
non è il momento giusto, non stiamo cercando del personale, siamo a posto cosi;
oppure gli chiederanno se è disposto a fare trasferte, o ad accettare mansioni
rischiose, oppure a lavorare di notte, su dei turni precisi e pesanti. "Ho
un figlio piccolo", dovrà rispondere lui, come se fosse la sua palla al
piede, il suo cruccio, l'impedimento più grande di tutti; "e purtroppo non
ha più una madre". Tireranno un sospiro, osserveranno le loro carte sopra
la scrivania ordinata, e poi diranno: "le faremo sapere", come dicono
sempre. Ma lui tornerà da Mattia e gli dirà una volta di più che va tutto bene,
presto inizierà a svolgere un nuovo lavoro, e potranno permettersi qualcosa di
più delle ristrettezze in cui vivono adesso.
Certe volte si sveglia presto,
mentre il bambino sta ancora dormendo, e allora arriva fino ai mercati, dove
servono braccia per sistemare le casse, spostare i pianali dagli autocarri,
farsi vedere attento, preciso, uno che sa darsi da fare senza tanti problemi, e
i caporali lo lasciano fare, gli indicano i posti dove sistemare le casse,
magari gli allungano anche un paio di guanti, per non farsi male su una
scheggia o su un chiodo. Quando tutto è finito gli danno qualcosa, certe volte
gli chiedono di farsi vedere l’indomani mattina, ma spesso anche no, ed allora
lui se ne torna alla svelta verso il suo appartamento, dove dorme ancora suo
figlio, ma sa almeno che adesso può comprare qualcosa per lui, per mangiare in
maniera decente, almeno per oggi.
Bruno Magnolfi
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