Spalanco la porta del
mio appartamento, poi la richiudo a chiave alle mie spalle, quindi con tutta
calma prendo le scale condominiali e scendo giù per i tre piani che mi separano
dalla strada. Appena fuori dal portone del palazzo mi guardo attorno lungo il
marciapiede deserto, accendo meccanicamente una delle mie sigarette, quindi
prendo alla mia destra, senza una meta particolare da raggiungere. Sono sicuro
che qualcuno mi sta osservando da qualche finestra che si affaccia sulla
strada, ma non me ne preoccupo, bado ai fatti miei, non ho alcun interesse nel
tenere un comportamento ritagliato su ciò che il vicinato si aspetta da me.
Sono una persona
nota, di me parlano a volte le riviste illustrate, e in genere dicono che sia
uno schivo, uno che difficilmente intrattiene dei rapporti sociali con chi
conosce superficialmente. Non è del tutto vero, però mi piace che si pensi
anche questo di me, non ci trovo niente di male e mi fa essere poco propenso ad
interviste e a chiacchiere sparse. Oggigiorno dobbiamo assumere tutti un
comportamento che corrisponda ad un personaggio, e seguire con fedeltà i binari
che ci siamo scelti, senza deragliare mai dalla linea diritta che precede il
nostro cammino. Ciò che sta dietro a questa facciata poi non è troppo
importante, e alla fine essere vagamente enigmatici porta soltanto un maggior
interesse da parte della gente comune.
Inforco il mio paio
di occhiali scuri perciò, e senza fretta raggiungo il caffè più vicino, dove il
cameriere mi serve la solita colazione nel tavolino più in angolo, quello che
si nota di meno. Sfoglio un giornale, controllo il mio telefono portatile, mi
guardo attorno con circospezione. Ad un tratto arriva questa ragazza, bella,
interessante, solare nei suoi modi e nella cortesia con cui saluta il barista.
Si fa servire qualcosa al bancone mentre scambia qualche frase di circostanza,
conservando sulla faccia lo stesso sorriso con cui è arrivata dentro al locale.
Scrivo rapidamente un
biglietto sopra un pezzo di carta che trovo dentro le tasche, dico al cameriere
di consegnarlo alla ragazza, così lei si volta, mi guarda, ma non si decide a
raggiungere il mio tavolo. Forse non mi avrà riconosciuto, penso io, e allora
con fatica mi alzo e vado lentamente verso di lei, appoggiandomi quindi al
bancone e togliendo gli occhiali, tanto per farle intendere chi si trova
davanti. Ma lei mi getta uno sguardo sfuggente e poi basta, come se non fosse
per niente interessata a conoscere una persona come posso essere io.
Le dico subito che
trovo simpatici i suoi modi di fare, tanto per solleticare il suo amor proprio,
ma lei sembra perdere persino quel sorriso che aveva conservato fino adesso. Le
dico che è strano non mi abbia ancora riconosciuto, ma lei chiede ancora
qualcosa al barista con disinteresse per ciò che le dico. Pago la mia
consumazione e naturalmente anche la sua, tentando di uscire da una situazione
piuttosto antipatica in cui mi sono andato a cacciare, ma lei rifiuta il mio
gesto, e poi dice che ha un conto aperto con quel caffè, per cui non ce n’è
alcun bisogno.
Saluto di circostanza
e poi via, me ne torno per strada, si vede che non è la giornata più adatta per
fare nuove conoscenze, ma mentre giungo alla porta vetrata la ragazza mi chiama
da dietro, così aspetta che mi volti, mi guarda un momento, poi mi restituisce
il biglietto che le era stato consegnato dal cameriere. “Non sono il tipo di
ragazza che ha immaginato”, mi dice con voce naturale. “E so distinguere bene
chi mi interessa rispetto a coloro che cerco di non frequentare”. Poi si volta
e torna dentro al locale. Va bene, dico tra me; forse devo rivedere qualcosa
nei sistemi con cui cerco di agganciare qualche ragazza. C’è sempre da imparare
d’altronde.
Bruno Magnolfi
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