Ormai
trascorro da sola quasi tutto il mio tempo. Non voglio dire che siano diventate
carenti le occasioni per stare con gli altri, è soltanto che spesso non sono
d'accordo con le cose che mi vengono dette quando sono insieme a loro, e non
riesco ad essere così accondiscendente da sorridere a tutti e dire sempre di
sì. Preferisco non dare occasioni per intavolare polemiche, e quindi evitare di
fornire costantemente la mia opinione su di una cosa o sull’altra, perché
soprattutto mi sembra sacrosanto continuare a pensare quello che voglio, senza
dover giustificare in qualche modo le mie azioni oppure le mie parole. La
solitudine non mi spaventa, anzi ritengo che formi una qualità della giornata addirittura
superiore a qualsiasi altra possibilità. Non parlo in casa a voce alta come mi
hanno detto a volte fanno altri solitari come me, però cerco sempre di
confrontare i miei pensieri con coloro che mi immagino abbiano opinioni diverse
dalle mie. Perciò rifletto molto, qualche volta fino a rimanerne confusa.
Quando vado
dal medico per farmi prescrivere qualche medicinale, generalmente lui mi invita
a raccontargli la maniera in cui trascorro le mie giornate, così il dottore
alza gli occhi dai suoi ricettari, mi guarda da dietro gli occhiali di metallo
dorato, e poi mi fa qualche domanda per verificare se riesco ancora a
rispondere in una maniera che tenga conto dell’ambito sociale, oppure se sono
già passata a far parte della categoria degli appartati, quelli che parlano
soltanto di se stessi, dei loro mali, dei propri guai o delle proprie speranze,
e vivono in una sfera isolata, separati da tutti. Normalmente sorrido per
fargli capire che ancora resisto: leggo il giornale, sono curiosa di ciò che
avviene, mi interesso della vita che scorre nelle città e nelle strade. Riesco
ogni volta a rassicurarlo insomma, ed anche se lui per sicurezza prosegue a
prescrivermi delle pillole che dovrebbero stimolare la mia attività
relazionale, sono convinta davvero di non averne bisogno, e per questo motivo
non me le faccio mai dare dalla mia farmacista.
Quando proprio
mi va, arrivo fino al centro anziani a vedere cosa stanno facendo, ma
generalmente mi metto da una parte ad ascoltare i discorsi di chi è lì presente,
e alcune volte mi invento che ho un’infiammazione così fastidiosa dentro la
bocca che non mi permette neppure di parlare, così nessuno mi chiede più nulla,
ed io me ne posso stare tranquilla. Secondo me loro dicono sempre le medesime cose,
ed io quasi sempre mi annoio così tanto da sbadigliare vistosamente, anche se
non vorrei. Quando saluto tutti e me ne torno verso il mio appartamento, sento
di aver perso soltanto del tempo passando da lì, e in ogni caso sono quasi
felice di ritrovarmi per strada da sola, con le mani sprofondate dentro al
cappotto, e con la testa piena di tutti i pensieri che voglio. Forse non dovrei
neanche dirlo, ma certe volte credo proprio di sentirmi al di sopra delle
persone che frequentano quel centro anziani: è tutta brava gente, questo è
certo, però a loro manca oramai la capacità di sapere davvero guardarsi all’interno;
sentire le cose, provare ancora emozioni, mettere in dubbio i propri stessi
pensieri, ed alla fine, proprio come al contrario riesco a fare io, essere
autonomi, tanto da riuscire a bastare a se stessi.
Bruno
Magnolfi
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