L'acqua che
scorre in questo punto si vede subito che ha molta forza, anche se con questo
buio serale di pioggia continua e sottile riesco soltanto a vedere l'onda
schiumosa che forma il ruscello vicino alla strada, al margine della quale sto
fermo in questo momento, senza provare nessuna particolare tensione. Conosco
questo luogo, so perfettamente che più a valle il canale impetuoso si allarga,
la corrente rallenta, la profondità tende subito a moltiplicarsi, e non ci
sarebbe per me, o per chiunque cadesse nell'acqua da queste parti, nessuna
possibilità di salvezza. Lasciarsi andare è solo questione di un attimo, la
sensazione sgradevole dei vestiti che ti si bagnano addosso ed impediscono
qualsiasi movimento, della corrente che ti trascina velocemente, e della lotta
del tutto umanissima che l'istinto di sopravvivenza ti costringe a
intraprendere, mentre provi ad intrattenere una impari lotta con la forza della
natura.
Posso
sorridere pensando alla meccanica dei fluidi, alla sua complessità, ai gorghi
che si formano per mille diversi motivi là in mezzo, ma alla fine rimane
soltanto un piccolo passo, però di grande demarcazione, tra un prima ed un
dopo. Potrei scivolare, camminando sul margine bagnato e fangoso, così da non
prendermi direttamente alcuna responsabilità per quanto accaduto: un incidente,
potrebbero dire in paese domani, un'imprudenza essersi avventurato in quel
punto senza nessuna illuminazione, proprio in una serata di quel genere poi.
Muovere all'impazzata le braccia e le mani, tentare di volgere la faccia e la
bocca spalancata verso l'aria, spingere con i piedi qualcosa che non è minimamente
capace di darti una spinta: sentirsi immergere dalla furia del liquido, la
mancanza impellente di aria, dei polmoni che ne reclamano adesso, che ne hanno
bisogno in questo istante preciso, sempre di più, sempre più ora, fino al
respiro terminale di acqua fangosa, che riempie ogni parte dove non era mai
giunta fino a questo momento, quello terminale, e che immediatamente ti
stordisce, ti fa perdere i sensi, ti uccide in un attimo, senza che si possa
fare più niente. Acqua nei polmoni e dentro la pancia, la stessa esatta maniera
di andarsene come, per volontà o per disgrazia, è già capitata a tantissimi
altri.
C’è un
albero qui accanto, ed io lo abbraccio come un amico mentre proseguo a guardare
l’acqua che scorre. Mi tengo a lui come fosse la mia ultima possibilità di
salvezza. Chiudo gli occhi, in fondo che cosa mai importa continuare a pensare
qualcosa che tra un attimo non avrà più alcun valore, immaginando forse che
esista un fermo immagine tale da farti immortalare i tuoi ultimi istanti con
tutte le riflessioni che lasci a chi sopravvive, pronto a chiedersi se c’erano
dei veri motivi per affrontare un rischio del genere, oppure se il rischio
faceva già parte di tutto il progetto. A nessuno interessa ragiono, come non
interessa la fine che scegli, come la scegli, oppure se è lecito sceglierla; o se
invece sei destinato ad accoglierla in un momento qualsiasi, quando magari non
sei ancora preparato per questo, e la tua completa sorpresa rimane un elemento
tra gli altri: destino, purtroppo, che tanto domani dovremo soltanto
dimenticare, più lentamente o più in fretta. Resta l’albero a dirlo, su questo
argine.
Bruno
Magnolfi
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