Certo, l’alloggio che
gli hanno messo a disposizione non è proprio comodissimo, anche se lui è
giovane e perciò si adatta bene e velocemente: si tratta soltanto di due
stanzette molto alla buona; però, considerato pure che lui deve rimanere
soltanto qualche mese a lavorare presso le Ferrovie Nazionali, quella si è
subito dimostrata una soluzione decisamente accettabile. Tanto più che il
piccolo edificio, forse un vecchio rimessaggio riadattato, è sito proprio al
bordo della massicciata, ed ogni giorno, con una semplice bicicletta lungo il
viottolo accanto alle rotaie, lui può facilmente raggiungere in dieci minuti l’edificio
della Stazione Centrale, dove prendere, presso l’Ufficio per le Manutenzioni, le
direttive dei compiti da svolgere e tutte le informazioni che gli servono.
Naturalmente è necessario dormire con i tappi per le orecchie, considerato il
passaggio anche notturno di parecchi convogli lungo quel groviglio di binari,
però “in tempi piuttosto brevi si riesce a fare l’abitudine a tutto”, come gli
ha detto sorridendo il suo diretto superiore. Per i pasti poi, rimane a sua
disposizione la grande mensa dei dipendenti, in cui può contare su una varietà
continua di piatti e di pietanze durante tutto l’arco della settimana, e dove, se
vuole fare qualche conoscenza, non è certo un grosso problema, anche per una risorsa
fuori sede come lui.
Di fatto, già durante
la prima settimana, lui ha conosciuto per caso questa ragazza timida, una
studentessa universitaria, una persona carina e senza tante pretese, e così si
sono fatti assieme una passeggiata serale nella zona della grande piazza dove
sorge la Stazione. Si sono dati appuntamento per il giorno seguente, naturalmente,
e lui ha sistemato al meglio il suo alloggio per invitarla fino lì. “Mi piacciono
i tuoi modi”, le fa lui adesso. “Mi ricordano le maniere d’altri tempi, quando
forse c’era più rispetto tra le persone”. Lei lo guarda, forse in altri momenti
avrebbe potuto anche arrossire per quegli elogi, ma la situazione adesso non le
pare adatta a quel comportamento. “Stare qui mi angoscia”, gli fa lei. “Questo
posto è di una tristezza esagerata”. “Lo so”, fa lui, “me ne rendo perfettamente
conto. Ma non posso far altro che così, devi comprendermi”. Quindi tenta
maldestramente di baciarla, mentre transita un treno che fa vibrare leggermente
tutti gli oggetti.
Lei dice che adesso vuole
subito andarsene, non le piace rimanere lì, e lui non deve insistere, se le
porta almeno un briciolo soltanto di rispetto. Allora lui abbassa la testa, torna
ad indossare lentamente il suo giubbotto, e si offre subito di accompagnarla
fino al suo studentato, poco lontano dalla Stazione Ferroviaria. Gli argomenti da
cercare per quei quattro passi si sono fatti subito difficili, e così restano
ambedue a lungo in silenzio, fino a quando giungono al Palazzo degli Universitari.
Si guardano ancora per un attimo, si dicono qualcosa senza trovare le parole
adatte ed anche il coraggio per darsi un nuovo appuntamento, e poi ognuno pare
andarsene per i fatti propri, lasciando alle spalle come una nube di vapore in dissolvenza.
“Sono uno sciocco”,
pensa lui adesso. “Però non è colpa mia se la situazione che si è creata è esattamente
questa”. Percorre così, con le mani sprofondate nelle tasche, l’interno sempre
affollato della Stazione Centrale, si guarda attorno, avverte quella solitudine
che almeno in parte si è del tutto meritato. Poi solleva le spalle, acquista
delle sigarette, e lentamente si avvia verso il suo piccolo rifugio. “I treni
proseguono ad andare, e anche a venire”, pensa mentre fuma nella notte, accanto
ai binari lucidi. “Forse ci sarà un’altra occasione, se soltanto riesco a
lasciare dietro le spalle la brutta immagine che ho fornito di me stesso. O
forse no; ed allora non ci sarà proprio più nulla a sorreggere ciò che poteva diventare,
se non un debole ricordo”.
Bruno Magnolfi
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