Cammino senza fretta a fine
mattinata sul largo marciapiede che corre lungo il viale alberato, e lascio che
questo sole pallido di oggi mi piova addosso ogni tanto, filtrato a tratti dalle
fronde e dai rami sopra di me. Mi fermo poi davanti ad un grande negozio di
mobili, e cerco del mio amico, che poi è il figlio del proprietario, anche se da
qualche anno orami fa quasi tutto lui, visto che suo padre ormai si è fatto
troppo anziano. Un commesso lo va a chiamare, ed eccolo qua, il mio compagno di
sempre, fin dalle scuole elementari, colui che non avrebbe mai voluto dover
proseguire l’attività della famiglia, e che invece a un certo punto ci si è
visto costretto, anche per propria comodità, è giusto dire. Dopo i saluti si va
subito a prenderci un aperitivo in un locale poco lontano, ed intanto ci
raccontiamo le novità degli ultimi giorni.
“Forse vendiamo tutto”, fa lui
sottovoce, come per togliersi subito da dosso il nodo principale che gli preme.
Ci mettiamo seduti ad un tavolino fuori dal locale, ed io, che non voglio
mettergli davanti delle domande secche, lascio che lui prosegua nello spiegarmi
in autonomia quello che probabilmente succederà al negozio. “Mio padre finalmente
si è convinto che con me le cose nel futuro non andranno bene, e prima di veder
sparire nei debiti la sua cara attività, preferisce mettere la parola fine ad
ogni cosa, devolvendo almeno una buona parte del ricavato della vendita a mia
disposizione, e tenendo il resto per la prossima vecchiaia sua e di mia madre”.
Naturalmente questo cambia di molto tutti i progetti che avevamo in mente io e
lui. Si parla di un mucchio di soldi, è chiaro, e potrebbero essere utili a
finanziare uno dei progetti che da anni accarezziamo.
Ci siamo interessati di musica, in
un lungo periodo della nostra gioventù, poi di elettronica, ubriacandosi delle
novità che uscivano fuori all’epoca degli elaboratori più evoluti e della
programmazione estremamente mirata, per poi lasciarci prendere, dopo qualche
altra passione intermedia, dal mondo della cucina e della ristorazione,
ritrovandoci a sognare la gestione di un locale tutto nostro, dove sfogare la
nostra più forte creatività su piatti particolari e ricercati. Adesso io non
dico niente, anche perché uno come me, che non ha mai posseduto dei fondi o dei
risparmi, non può pretendere che sia soltanto lui a mettere a rischio dei
quattrini. Il mio amico prende un sorso del suo aperitivo, sorride, e poi mi fa:
“così ho deciso: se tutto questo accade quindi, per qualche tempo mi godrò la mia
libertà ritrovata, visto che stare tutto il giorno tra i mobili, con certi
clienti uggiosi che devono per forza arredare la propria casa, è a dir poco
estenuante. In seguito, con calma, credo che ti proporrò un prestito con il
quale potrai metter su un ristorantino proprio come avresti voluto, trattenendo
naturalmente per me una buona percentuale sugli utili.
“Ma non è quello che avevamo detto”,
gli fo irritato. “Lo so”, fa lui; “ma non puoi pretendere che ci mettiamo in
due dietro una cucina a sfornellare tutto il giorno come scemi. Diciamo che io
vado ad occuparmi di finanza, e tu coroni il tuo caro sogno di fare finalmente il
cuoco”. Prendo un sorso del mio aperitivo, lascio che le parole dette si
depositino un po’ come la polvere fine ed il leggero polline degli alberi di
questa parte di città; sono perplesso, non farò mai niente da solo, questo è
chiaro, e farmi finanziare a tasso corrente, proprio dal mio amico, un’idea che
ci aveva riempito le serate come fosse un sogno fino a poco fa, mi pare una
tremenda vigliaccata. Mi alzo: “me ne vado”, gli fo secco; “visto che al solo
sentir parlare di soldi hai già cambiato tutte le carte sulla tavola. Comunque,
se è così, spero proprio che tuo padre ci ripensi, e ti lasci relegato a
vendere armadi letti e salotti, considerato quello che vorresti diventare”.
Bruno Magnolfi
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