Si tocca un fianco, quindi si gira lentamente, ed è quasi
ovvio che avverta d’improvviso un nuovo sottile dolore manifestarsi adesso
lungo tutta la
schiena perennemente immobilizzata, ma con pazienza infinita attende per un
attimo che le ossa i tendini ed i muscoli si assestino, e poi si rimette seduta
esattamente come stava poco prima, anche se in questa posizione naturalmente
quella piccola fitta di cui soffriva
all'inizio si fa sentire ancora, imperterrita, forse in
questo momento manifestandosi soltanto come un generale forte fastidio, questo
è vero, ma comunque rimanendo una presenza che prosegue a dire qualcosa di sé,
del suo stare lì in mezzo a quelle carni, e dell'impossibilità
già prevista, da parte della sua ospite, di essere ignorata. "Siamo
soltanto degli involucri", dice ad un tratto alla badante che viene da lei
ogni giorno, soprattutto per tenerle compagnia, ma anche per sbrigare qualche
faccenda domestica, occuparsi dei suoi bisogni primari, e testare le sue reali
condizioni. Lei non si lamenta, non è il tipo di persona che tende a mostrare
le sue sofferenze, ed è sempre stata così, fin da quando era bambina. Si tiene
per sé anche quel nuovo piccolo dolore, e quindi basta, come un ordinario
elemento tra i tanti che fanno parte del corredo materiale di un qualsiasi
individuo.
La badante la guarda per un attimo, forse vorrebbe anche
annuire pensando a se stessa ed ai suoi guai che si è lasciata dietro a casa
propria, ma poi copre l’affermazione che ha ascoltato con un: “c’è della
minestra pronta dentro al frigo, tra un momento la metto a scaldare sopra al
fornello”, come se tutto dovesse risolversi in quelle solite azioni stabilite,
senza nessun’altra possibile preoccupazione. Detto questo si sposta, apre effettivamente
il frigorifero, e poi tira fuori un pentolino col coperchio, appoggiandolo sul
piano della cucina a gas. "Oggi non c'è neppure il sole", le fa, come
dando fiato ad un pensiero. "Non importa", dice lei; "non ho
neanche voglia di uscire". L'altra non raccoglie la debole ironia,
però si lava e si asciuga le mani presso l'acquaio di cucina, e quindi fa:
"adesso ci mettiamo sulla poltrona vicina alla finestra", come fosse un’azione
obbligatoria, qualcosa di previsto sul protocollo della giornata; e lei senza
dire niente le lascia compiere tutte le operazioni che servono per spostarsi
effettivamente di quei pochi metri, considerato il suo stato di semi-infermità.
La fitta di sempre sta al solito posto, l’antidolorifico deve ancora fare il
suo effetto, ma lei riesce comunque a non lamentarsi, e a non mostrare quella
sofferenza che anche soltanto l'espressione del viso potrebbe tradire.
Abitare
accanto ad una finestra, almeno per il periodo del giorno in cui non si deve
dormire, è già una fortuna, pensa lei senza riuscire a tradurre in parole semplici
quel che le passa dentro la mente. “Un cielo nuvoloso è comunque più
interessante di un cielo occupato soltanto dal sole”, dice alla fine. La
badante prosegue per un attimo a compiere le proprie operazioni, poi fa: “può
darsi”, senza dare troppa importanza a quello spirito filosofico, e
conservandosi maggiormente a ridosso degli elementi un po’ più pratici. “A me comunque
basta che non piova”, spara alla fine. Anche la pioggia però ha il suo fascino
e la sua importanza, riflette lei senza azzardarsi a dire più niente. Poi si
sistema sulla poltrona, si osserva le mani grinzose ormai da vecchia, e sorride
del suo essere vissuta così tanto, persino troppo, almeno fino al punto di
sentirsi proprio così. Poi guarda fuori, oltre i vetri della finestra, dove le
cose avvengono veramente, ed in cui lei adesso può immaginare tutto ciò che desidera.
Bruno
Magnolfi
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