Sul molo foraneo del
porto cittadino, osservando il grande mare azzurro di fronte a me, mentre
rimango seduto su un’enorme pietra: "vorrei andarmene", fo al mio
amico che mi sta vicino mentre cerca di pescare sotto costa, a dire la verità almeno
fino adesso senza troppa fortuna, usando una sua vecchia canna da lancio.
"Non puoi", fa subito lui. "Da qui non ci si può neppure
muovere", fa con ironia. Sorrido, sembra quasi una sfida la sua, così tiro
in acqua un po' di esca che sta usando per pescare, ed un pesce gli guizza
subito attorno, prima che affondi. “Non mi va di stare qui soltanto perché ci
sono nato”, gli fo quasi sovrappensiero. Il galleggiante in acqua intanto si
muove leggermente, lui aspetta un momento che il pesce prenda bene l’amo dentro
la bocca, poi imprime al filo un leggero strattone, ma forse agisce con una
calma insufficiente, e così viene fuori dal mare soltanto il pezzo di filo da
pesca e poi nient’altro.
“Non mi frega niente dei
parenti, delle conoscenze, delle tradizioni e delle abitudini”, dico
sdraiandomi sopra al sasso enorme sotto di me, nel sole caldo di questa mattina
quasi senza vento. Mi accendo una sigaretta nascondendo la faccia dentro una
mano per far brillare la fiammella dell’accendino, poi tiro una boccata e
guardo il fumo avvoltolarsi e andarsene via velocemente. “Mi pare che qui in
principio si debba soltanto soffrire di noia, per poi in seguito adeguarsi un
po’ a quella stessa noia, fino a quando tutto appare più normale, ed allora
ecco che la noia diviene rapidamente un elemento come tutti gli
altri”.
Arriva una grossa barca che fa rotta
per rientrare lentamente in porto; sul vasto ponte almeno per adesso non si
vede proprio nessuno, e per questo motivo il natante pare quasi navigare in
piena autonomia. "Salire su una nave qualsiasi, magari di nascosto, e
andarsene dai piedi, affrontando qualsiasi futuro possa attenderti", fo al
mio amico tanto per stuzzicarlo ancora un po'. Lui tira su la lenza in
silenzio, mette una nuova esca attorno all'amo, poi torna a lanciare il galleggiante
piombato a circa sette o otto metri dalla diga foranea. "Se proprio deve
essere, così sarebbe al meglio", fa lui senza allontanare lo sguardo dal
suo lancio. Normalmente potremmo fare anche una risata dopo una frase del
genere, invece adesso la nostra attenzione è attratta da qualcuno sulla piccola
nave che esce da un portello e si accosta al parapetto verso la nostra parte,
proprio mentre lo scafo scuro scivola sull'acqua a poca distanza da dove siamo
noi.
Quello ci fa un saluto con la mano,
pare quasi per invitarci ad assomigliare a lui: andare, tornare, qualche giorno
in un porto, poi via in un altro, e visitare delle città, conoscere persone
sempre nuove, imparare qualche parola di altre lingue, e poi maniere e
linguaggi sempre differenti, senza noia, dimenticando quasi del tutto le abitudini.
Poi passa, lasciando una scia bianca dietro a sé mentre le eliche rallentano nel
momento in cui quella nave mercantile inizia a manovrare per l’ormeggio. Guardo
il mio amico che ha perso la concentrazione sul suo galleggiante, e forse non
ha più neppure tanta voglia di farsi prendere in giro ancora da questi maledetti
pesci. Così recupera lentamente la lenza col suo mulinello, proprio nel momento
in cui il galleggiante sparisce d’improvviso dal pelo dell’acqua, e qualcosa di
invisibile sotto le piccole onde inizia a tirare con tutte le sue forze. Un
piccolo combattimento, un sapiente recupero del filo, ed infine eccolo, un bel
pesce scodante dai mille colori e dalla gran voglia di vivere. Lui lo slama, con
sapienza, senza danneggiarlo, lo guarda un attimo negli occhi, e poi lo getta
in mare, nel suo mare, nella libertà.
Bruno Magnolfi
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